Può darsi che tutto abbia un senso, che Spalletti sia un Messia della panchina, Skriniar un grande difensore, Borja Valero e Vecino i leader di centrocampo che mancavano e Dalbert un esterno di livello. Può essere tutto, persino che l’Inter sia più forte di quanto autorizzato a sognare e che in fondo la scorsa stagione conservi dei segreti inconfessabili, vera causa dell’andamento umiliante per un club che, solo pochi anni fa, vinceva scudetti e una Champions league. C’è bisogno di ricordarlo a chi, tra i tifosi, ha arredato il tunnel e ha iniziato un percorso di santificazione della squadra, ritenendo la campagna acquisti di alto livello, in barba a chi la critica. Il calcio infatti, anche se siamo nell’era dei fenomeni da tastiera sui social, pronti a darti del fesso alla prima opinione, è materia fortunatamente liquida, specie se si tratta dell’Inter, che da anni viene pronosticata come una delle protagoniste e invece vive di sussulti e strapiombi.

La partita con la Roma ha nuovamente dimostrato che questa squadra è forte in discesa e mentalmente debole in salita. L’Inter ha ottenuto una vittoria importante, al quale aggiungerei un superlativo assoluto se non si trattasse della seconda di campionato e l’andamento della gara non fosse stato tanto contraddittorio. Per un’ora si è vista la solita Inter caratterialmente inadeguata, velleitaria e senza un solo leader. Per 60 lunghi minuti la squadra ha avuto qualche spunto ma senza una struttura di gioco e degli interpreti all’altezza dell’ambizione, qualunque essa fosse. Quel senso di frustrazione che avvertivi tra un palo e l’altro, nel tentare di intravedere qualcosa di buono e migliore rispetto al recente passato, specie contro giocatori che erano stati inseguiti (Manolas, Nainggolan, Strootman) e sono rimasti lì dov’erano. Gagliardini ha iniziato male la stagione, con una panchina alla prima contro la Fiorentina e un tempo a Roma anonimo e privo di garra. D’Ambrosio è l’ombra del giocatore visto la scorsa stagione e Nagatomo è tornato ad essere Nagatomo.

Nel secondo tempo si è però visto un progressivo cambiamento, una resistenza agli eventi e una insospettabile lucidità nel fraseggio a centrocampo. L’arretramento di Borja, Valero, l’ingresso di Joao Mario al posto di Gagliardini, l’uscita di Nagatomo per il debuttante Dalbert, uniti alla consapevolezza di essere sopravvissuti agli eventi più pericolosi del match, ha indotto i giocatori a riprendere il cammino e tornare a giocare con aggressività, con un pressing alto e scelte di gioco più lucide. Così l’Inter ha pareggiato e poi vinto con un gol ogni dieci minuti, trascinata da Icardi, finalmente cercato e trovato negli ultimi venti metri. L’ultima mezzora è stata del tutto incongrua con l’andamento dei precedenti sessanta minuti e quando si è materializzata la rimonta si è fatto largo il dubbio, piacevole e rasserenante.

L’Inter ha mezzi tecnici ancora disordinati e una mentalità in eterna via di costruzione, ma ha degli strumenti per ribaltare i tavoli di qualunque partita, con qualunque avversario. Tuttavia non è possibile fidarsi dell’andamento di un campionato se i risultati maturano in modo difforme, il passato recente ha già illuso abbastanza per non ricascare nel trionfalismo da risultato a prescindere dal gioco. Nell’era Mancini tutto un girone di andata culminato col primo posto, camuffava i problemi che invece di essere sottolineati per quelli che erano, venivano nascosti per esaltare ambizioni da scudetto. La scorsa stagione i risultati positivi del girone di ritorno erano salutati come l’inizio dell’era Pioli, salvo poi rivelare l’animo grigio di una parte di squadra ancora presente.

L’Inter imperfetta, quella che deva ancora inserire nei meccanismi Dalbert e Cancelo, accogliere almeno un nuovo difensore (Mangala o Mustafi), cogliere almeno un’occasione (Keita), dopo aver perso tre volte in sei mesi Patrik Schick, è stata però capace di vincere contro una diretta concorrente in trasferta. È una premessa magnifica ma in caso di Inter non fatevi assalire dalle certezze, non fatevi tentare dalla sicurezza che sia una squadra da quinto/sesto posto, come da primi due. Non c’è ancora materiale sufficiente per avere un responso definitivo. L’Inter gioca ma ha difetti strutturali e continua a non avere giocatori di personalità. Ha giocatori di talento, un centrocampo finalmente più rapido e capace di leggere i movimenti dei compagni ma nessuno nel reparto in grado di cambiare passo e ancora meno di tirare in porta.

Gabigol e Jovetic stanno lasciando l’Inter con la speranza, almeno per quanto riguarda il brasiliano, di ritrovarlo giocatore vero. La questione riguarda sempre e solo gli obiettivi di mercato, puntualmente persi per motivazioni di natura politica che inizialmente erano stati snobbati. Qualcuno mi ha scritto che è normale perché c’è il fair play finanziario ma è lo stesso Spalletti ad aver confermato che l’Inter ha cambiato tipo di progetto durante l’estate e che certi obbiettivi (Vidal e Nainggolan, Di Maria ecc…) non era più possibile acquistarli. Va bene così perché l’Inter non è da scudetto ma può arrivare nelle prime quattro. Speravo, viste le premesse, che quest’anno si tornasse a lottare per il titolo perché l’Inter dovrebbe sempre giocare per quello e non per accontentarsi di un piazzamento. Ora godiamoci questa classifica e vediamo se la società riesce a completare la campagna acquisti con un finale degno. Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 28 agosto 2017 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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