Quando qualcuno perde il posto di lavoro non è mai facile disquisirne. In ogni ambito. Nonostante in gioco, come nel caso di mister Spalletti, ci siano in ballo milioni e milioni che potrebbero rendere meno dolorosa la scelta effettuata nei suoi confronti. Un licenziamento è sempre una sconfitta. Per tutti. Significa che qualcosa non è andato per il verso giusto, che non sono stati raggiunti determinati obiettivi, che c’era la necessita impellente di cambiare. Riferendomi al tecnico di Certaldo credo che sia sicuramente stato l’allenatore migliore dell’Inter dell’epoca post Triplete. È vero, Benitez vinse Supercoppa e Mondiale per Club. Leonardo la Coppa Italia. Ma si trattava ancora di uno squadrone, che anzi avrebbe dovuto conquistare pure il campionato italiano - con il manager spagnolo in panchina, che non a caso venne allontanato in corsa - e fatto miglior figura in Champions League con quello brasiliano.
Spalletti con una buona squadra, composta non da fuoriclasse, è stato l’artefice del ritorno della Beneamata nella competizione europea più importante. Nessuno mi toglie dalla testa che nella scorsa stagione sia stato più che determinante. Per questo sostengo che meriti un plauso enorme. Quest’anno altresì arrivare terzi sarebbe dovuta essere la conseguenza di un percorso di lavoro in costante crescita. Magari con un gioco migliore, a tratti spumeggianti. E dopo essersi tolti qualche soddisfazione contro questa o quella big. Invece non è successo. Immagino che Spalletti si sia iniziato a giocare l’Inter con Tottenham e Psv. Non all’andata ovviamente, ma al ritorno. Il suo team giocò per non perdere a Londra, quando sarebbe bastato scendere in campo con l’obiettivo di segnare – se fosse finita 3-2 per i padroni di casa, oggi gli Spurs non sarebbero in Finalissima del torneo -. Mentre in casa contro gli olandesi, dopo il pareggio di Icardi, invece che spronare i suoi giocatori a vincere, si accontentò del pareggio, sperando nella vittoria del Barcellona. Un errore grave a mio avviso, che poi si è ripresentato per gran parte della stagione. Se hai la possibilità di chiudere i giochi devi farlo. O quantomeno provarci. Confidare sugli altri e non sulla tua forza è un messaggio di per sé sbagliato. Sempre, non solo nel calcio. Da perdente. Se hai tanti match point e non li sfrutti qualcosa che non va c’è. Ecco spiegato con i numeri perché la Beneamata si sia ridotta all’ultima giornata di campionato per staccare il pass europeo. Avesse vinto solo una partita, non di più, contro Lazio, Roma, Atalanta, Juve o Udinese ci si sarebbero risparmiati quei 90 minuti da dentro o fuori, dal finale thriller, contro i toscani, alla Scala del Calcio. Se poi aggiungiamo, perché non devono essere dimenticate, le eliminazioni in Coppa Italia e in Europa League, come se fosse la normalità non arrivare fino in fondo ad una competizione, e un gruppo di giocatori che sembrava aver smarrito, almeno in parte, il fuoco dentro – ad eccezione della già più volte citata sfida contro l’Empoli – ecco spiegato il motivo dell’allontanamento di Spalletti. Che di certo ha le sue colpe, a cui sicuramente devono essere accostate anche alcune attenuanti, ma si deve anche sottolineare come sia stato l’unico a pagarne le conseguenze.
A livello umano dispiace parecchio. Per quello tecnico è una scelta che ci sta in questo particolare momento. Ma il ricordo di Lucio a Milano resterà positivo, almeno per quello che mi riguarda, nonostante qualche pecca importante qui e lì da considerare. Si apre quindi una nuova era. Quella di Antonio Conte. E qui i tifosi dell’Inter dovranno essere bravi. Come hanno sostenuto dal primo all’ultimo secondo la squadra nell’ultimo turno di A, lo stesso dovrà essere per il mister salentino. Non prevedo il futuro. Non sono un mago né un chiaroveggente. Ma in questo caso tutti sanno già cosa potrebbe succedere nel caso in cui i risultati tardassero ad arrivare. Magari pure già dal precampionato. Con qualche k.o. di troppo ci sarebbe sicuramente chi inizierebbe a tacciare l’ex manager del Chelsea di avere quel D.N.A. da juventino – e non solo - incompatibile con l’ambiente nerazzurro. In realtà signori miei mister Antonio Conte è un professionista serio. Il passato di ognuno di noi non può essere cambiato. Lasciamolo lavorare in pace, vediamo se riuscirà a competere per lo scudetto – perché l’obiettivo con circa 10 milioni di ingaggio all’anno e un calciomercato che si preannuncia scoppiettante è questo - e poi giudichiamo il suo lavoro. Alla fine è sempre il solito discorso: allenatori e giocatori passano, l’Inter resta.
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Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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