Ha vinto la Juventus, complimenti alla Juventus. Che però, va detto, in Italia ormai gioca come fosse il giardino di casa. E i motivi sono molteplici. Una differenza di trattamento a tutti i livelli, soprattutto se paragonata a quella delle dirette concorrenti. Il raffronto non si pone nemmeno se parliamo del parallelismo con l'Inter. Avete presente l'ammonizione di Perisic per proteste rimediata contro l'Udinese l'altra sera? Ecco, ci siamo capiti.

Ma, al di là del trattamento arbitrale (sono pur sempre uomini condizionabili, e parlare di condizionamento non vuol dire necessariamente parlare di partite truccate come a qualcuno piace pensare per buttarla in caciara), quello che preme sottolineare stavolta è la diversità di percezione che hanno gli utenti – lettori, ascoltatori e spettatori – rispetto a questi due mondi. Due mondi rappresentati in maniera diametralmente opposta: da una parte c'è la favola, l'idillio, il Mulino Bianco; dall'altro l'ansia, l'incertezza perenne, l'oblio.

Qualche esempio.

L'Inter degli 1-0 e la Juventus degli 1-0: per i nerazzurri era "fortuna", "Sant'Handanovic", "sofferenza infernale"; per i bianconeri diventa "carattere", "squadra cinica", "DNA vincente". Senza considerare i commenti sulle ultime vittorie della squadra di Mancini: invece di osservare una crescita, si è preferito porre l'accento sul "rimpianto" e sul "cosa sarebbe potuto essere se...".

Voti, pagelle e giudizi sui singoli? Velo pietoso. C'è chi vale 100 milioni anche quando sbaglia di tutto e chi "non è un campione, era in errore chi la pensava così" anche quando trascina. E allora Rugani – ad esempio – diventa uno che "ha imparato per sei mesi e ora gioca sempre titolare", mentre per altre squadre si sarebbe parlato di "poco spazio per i giovani", di "bocciatura sonora" o, ancora peggio, di "bidone".

Sul piano tecnico-tattico, poi, si fa carne di porco. Bonucci ormai è per tutti "uno che sa impostare divinamente da dietro", così come Marchisio è "un regista coi fiocchi". A piene mani, prendetene tutti. Ma davvero c'è qualcuno che pensa che con Miranda in squadra serva Bonucci? Oppure seriamente si ritiene Marchisio (chiariamo: ottimo centrocampista) un regista nel senso stretto del termine?

E se ne dicono di ogni anche per quanto riguarda il povero Thohir. Inizialmente era lo scemo sprovveduto che voleva utilizzare l'Inter come giocattolino. Poi è passato per il tirchione che non cacciava un soldo. In mezzo c'è stato chi lo ha accusato, nemmeno tanto velatamente, di aver preso il club solo per fare business. E adesso, in barba a tutto quanto detto negli scorsi mesi, ci si offende pensando che debba restare al timone invece di vendere la società e andare a prendere un altro club. Tutto e il contrario di tutto.

Ci sarebbero pure le liti di Mancini con i vari giocatori, con i dirigenti, con il presidente, con la ex moglie; le scelte "scriteriate" a livello tattico; il "fallimento" di Eder; Melo trattato alla stregua di Hannibal Lecter; i troppi stranieri in squadra. Giusto per ricordare qualche altra perla in ordine sparso.

Di certo ognuno può esprimere la sua idea e non è detto che una sia migliore di un'altra. Fa sensazione, però, che queste idee abbiano quasi tutte lo stesso elemento ispiratore e arrivino spesso e volentieri alle medesime conclusioni.

Qual è il meccanismo? Presto spiegato. Chi fa informazione ha il potere di incidere seriamente sul pensiero comune, specie se in quell'humus vive chi è poco esperto e quindi è terreno fertile nel quale queste idee attecchiscono senza i dovuti filtri. Si viene a creare un'opinione pubblica distorta, deviata, fallace, unilaterale. Una sorta di "moda del pensare" che a catena condiziona anche chi va allo stadio, condiziona l'ambiente di lavoro, condiziona i protagonisti in campo. I giocatori, d'altronde, non sono altro che uomini, con le loro ansie, i loro sentimenti e le loro paure. Uomini che assorbono – chi più, chi meno – ciò che il mondo esterno propone loro. Ed è così che poi anche lo svolgimento di una partita vive di questi umori, tra tifosi che fischiano al primo appoggio sbagliato perché "quello lì è costato 35 milioni!" e i calciatori che entrano in campo con eccessiva tensione oppure con troppa poca tensione. Pressare Kondogbia per un centrocampista del Verona, quindi, diventa più semplice che pressare Pogba. Alla stessa stregua, applaudire Perisic diventa più complicato che applaudire Morata.

Normale, insomma, che poi in questo mondo fatato nessuno faccia notare come gli scudetti siano 32 e non 34. Ma è il giardino di casa e, giustamente, si fa ciò che si vuole. 

Sezione: Editoriale / Data: Mar 26 aprile 2016 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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