Gli sfottò sono l’essenza del calcio. Credo che una sana presa per i fondelli tra amici sia più che normale. Un gesto che definirei bello, godurioso, liberatorio. L’importante è rimanere sempre su toni educati. E che non si offendano i propri interlocutori. Trascendere è sbagliato, sempre e comunque. Si rischia di passare dalla parte del torto. Per questo ogni 5 maggio reputo giustificabili e comprensibili i riferimenti goliardici verso gli amici nerazzurri per quel Lazio-Inter 4-2 che consegnò lo Scudetto alla Juventus. Quel Tricolore di fatto lo hanno vinto i bianconeri, ma pure i Cugini rossoneri, dato che festeggiarono come e forse di più delle tante Coppe Campioni che sfoggiano in bacheca. 

Gradirei tuttavia un’equità di trattamento. Passi per i tifosi, che remeranno sempre in un’unica e soggettiva direzione. Ma perché ieri, 14 maggio, la stragrande maggioranza dei professionisti che aveva ricordato le lacrime di Ronaldo e il dispiacere di Cuper del ‘98, non ha trattato allo stesso modo Perugia-Juve del 2000? Sì, quel match che permise alla Lazio di superare all’ultima giornata la Vecchia Signora e diventare Campione d’Italia. Cadeva pure il ventennale. Di solito per le cifre tonde si fanno anche degli speciali. E invece no. Guai a dare lo stesso spazio del fracasso juventino con quello interista. 

Troppo facile così. O sbaglio? Anche perché, se poi vogliamo proprio dirla tutta, il 5 maggio, oltre ad essere una data Manzoniana, è pure l’inizio del Triplete dell’Inter. E siccome nella storia del calcio italiano, nessuno ha mai conquistato l’hattrick delle competizioni nazionali ed internazionali nella stessa stagione, bè, si dovrebbe esaltare allo stesso modo il via di un trionfo inimitabile (almeno sino ad oggi) piuttosto che una partita persa, come di fatto capitato innumerevoli volte a tutte le più grandi squadre del mondo. Esiste la fatal Verona per il Milan, il gol di Calori del Grifone per la Juve, e pure all’estero ce ne sono di episodi simili.

Il Treble invece in Italia ha un solo padrone. L’Inter di Moratti. Di Mourinho. Di Capitan Zanetti. Di Sneijder e Milito che in quell’anno avrebbero meritato il Pallone d’Oro. Del treno Maicon. Di top players clamorosi nei loro ruoli come Cambiasso, Samuel ed Eto’O.
Ma fa più comodo ricordare solo la sconfitta contro la Lazio. E far finta nulla di quanto accaduto la settimana precedente a Verona, quando De Santis non concesse su Ronaldo un rigore enorme. E col ditino in faccia lo rimproverò di una simulazione che solo lui aveva visto. 

Ognuno può ricordare quello che vuole. Però per favore, che i fatti vengano esposti per quello che sono. Il 5 maggio rimarrà una ferita aperta nella storia dell’Inter. Nessuno lo nega. Ma si dica anche che è un giorno fondamentale, per un percorso unico e storico, della storia del calcio europeo grazie solo all’Inter.

Mentre ad oggi, il 14 maggio, non rappresenta nulla di tutto ciò. Non può. Né Milan, né Juve, né Napoli, né Lazio, né Roma, né nessuno in Italia ha vinto tutto in una stagione. Solo all’Inter è successo. Non è colpa mia se è così. Parliamo di un dato oggettivo, non confutabile.
Mi sa che Materazzi aveva ragione e che l’incubo dell’aver portato a casa tutto, ancora oggi, fa rodere il fegato a troppe persone.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 15 maggio 2020 alle 00:00
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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