Se l'addio lo scorso giugno di Simone Inzaghi è stato traumatico e in perfetta linea con l'ultima partita sulla panchina dell'Inter, la scelta del suo sostituto ricaduta su Cristian Chivu ha sorpreso un po' tutti nell'ambiente nerazzurro, soprattutto dopo il rapido e improduttivo corteggiamento a Cesc Fabregas. Uno degli eroi del Triplete, grande protagonista del ciclo vincente già con Roberto Mancini, per curriculum 'interista' aveva poco da invidiare ai colleghi. Ma dal basso di appena 13 presenze in Serie A, sufficienti per salvare un Parma a un passo dal baratro della retrocessione, ogni perplessità era più che legittima. Nulla da dire sullo spessore umano, ampiamente noto ad Appiano Gentile, dove il tecnico romeno ha scelto di iniziare la gavetta per la panchina e ha salutato con la vittoria di uno Scudetto Primavera per fare il grande passo professionale fuori dalla comfort zone, che lo ha riaccolto pochi anni dopo, in un periodo storico a dir poco preoccupante.
Per questa ragione ha senso parlare di comfort zone? Poco, considerando che Chivu ha accettato di guidare un gruppo reduce da una serie di choc che ne ha minato ogni certezza accumulata nel quadriennio precedente: uno Scudetto letteralmente gettato via, una finale di Champions League persa in modo fragoroso, l'addio inatteso (fino a un certo punto) di un allenatore per il quale era già pronto il prolungamento del contratto, un Mondiale per Club da preparare in pochi giorni, con diverse assenze, rapporti palesemente incrinati e un gruppo da recuperare fisicamente ma soprattutto mentalmente. A voler essere ironici, il nativo di Reșița poteva essere rappresentato con un meme mentre entra sorridente in una stanza in fiamme e la gente che corre a destra e a sinistra fuori controllo. Una scommessa, quella della dirigenza di Viale della Liberazione, basata soprattutto sull'uomo più che sul professionista, la cui esperienza in questo campo non poteva certo definirsi ricca.
Eppure Chivu ha accettato questo incarico con entusiasmo, sapendo ciò a cui andava incontro. Si è mosso con cautela nello spogliatoio, ha convinto i propri calciatori lavorando soprattutto sui rapporti, convincendoli che si stava per aprire un nuovo capitolo e il passato andava archiviato. Ha inserito sin dal Mondiale per Club alcuni dei giovani messi a sua disposizione, ha fatto sentire tutti importanti e dal punto di vista tattico, tramontato l'inseguimento ad Ademola Lookman, ha mantenuto lo stesso assetto ampiamente conosciuto aggiungendo un po' alla volta alcuni dei suoi ingredienti. Ma la vera sfida sin dall'inizio è stata lavorare sull'atteggiamento in campo, cercando di rendere meno leziosa una squadra che in quattro anni ha badato più alla forma che al contenuto, ottenendo comunque enormi consensi dal punto di vista del gioco ma vincendo meno di quanto avrebbe dovuto.
Insomma, un impatto complesso ma efficace, se è vero che dopo 2 sconfitte nelle prime 3 giornate di campionato oggi l'Inter è al vertice della classifica di Serie A, pur registrando ben 4 KO. Inoltre, è momentaneamente nella Top8 di Champions League, nonostante gli ultimi due scivoloni. Bilancio di fine anno alla mano, chi temeva le piaghe d'Egitto in casa nerazzurra si è dovuto ricredere, anche se permane quella sensazione che la squadra non sia abbastanza robusta per arrivare a dama a fine stagione, vale a dire vincere lo Scudetto che è il vero obiettivo. Certo, il lavoro del tecnico romeno potrebbe essere agevolato da un aiuto da parte della dirigenza, magari un nuovo esterno destro affidabile vista la lunga assenza per infortunio di Denzel Dumries. Oppure un difensore più giovane e con le caratteristiche richieste dal tipo di calcio aggressivo e atletico proposto.
Ma Chivu finora non ha mai sollevato un sopracciglio per commentare le mosse di mercato del club, così come ha sempre evitato polemiche dentro e fuori dal campo, facendosi apprezzare per una comunicazione genuina e mai filtrata, mirata a suo dire a diffondere quell'educazione nel calcio che in Italia manca tremendamente. Non si tratta di banale filosofia, ma solo della volontà di concentrarsi sugli aspetti più importanti per far crescere la squadra in una fase di transizione innanzitutto tattica e mentale.
Transizione che Chivu accompagnerà fino a giugno, quando è atteso il vero ricambio nella rosa. Diversi calciatori che hanno arricchito con il loro contributo il ciclo di Inzaghi saluteranno per fine contratto e verranno sostituiti da giovani già pronti ma da 'costruire' in un ambiente competitivo e complesso come l'Inter. Il lavoro svolto finora sulla testa lascerà spazio a quello più tecnico, la edificazione sul campo di una squadra che sarà priva di alcuni riferimenti nello spogliatoio ma manterrà lo zoccolo duro italiano e interista (spesso criticato quando il vento è contrario). Per allora non si potranno commettere errori, etichetta che è stata affibbiata a Luis Henrique e Andy Diouf fino a poche settimane fa e ai quali, dopo aver ammesso le proprie responsabilità per non essersi concentrato abbastanza su entrambi, Chivu oggi sta dando delle occasioni di visibilità.
In linea di massima, il primo intermedio della gestione da parte del nuovo allenatore può essere considerato positivo, al netto di qualche passo falso di troppo e delle difficoltà (ereditate) a vincere gli scontri diretti pur giocando sempre un buon calcio. Gennaio sarà un mese pesantissimo dal punto di vista degli impegni e bisognerà gestire le risorse, ma per quanto visto finora uno degli eroi del Triplete ha dimostrato di saper coinvolgere ogni giocatore nella propria missione. Non c'è ragione dunque per essere pessimisti, pur mantenendo una certa cautela visto la grande concorrenza in Italia e gli ultimi due impegni in Champions League da non sbagliare per scongiurare il rischio playoff. Viste le premesse e le perplessità che ne hanno accompagnato il ritorno all'Inter dalla porta principale e alla luce del difficile compito sin dai primi passi, ad oggi la decisione di dar fiducia a Chivu si sta rivelando azzeccata.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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