E' un'Inter di lotta e di governo. In campo, e non poteva essere altrimenti, la squadra guidata dal condottiero Antonio Conte è scesa e scenderà con l'elmetto in testa per combattere la propria battaglia sportiva verso la conquista dei tre punti. Fuori dal rettangolo verde, invece, grazie alla nomina di Steven Zhang come membro del comitato esecutivo Eca, la Benamata da martedì si è seduta al tavolo politico dove passano le sorti del calcio europeo.

Le due notizie, che non a caso arrivano in un preciso momento storico di profondo cambiamento per il mondo nerazzurro, hanno il minimo comun denominatore che risponde al nome di Suning. Il colosso di Nanchino, al comando del club da tre anni, è entrato nella stagione in cui vuol dimostrare che il calcio è più di una vetrina in cui farsi conoscere al mondo: per gli Zhang ora più che mai è un settore in cui investire tempo, passione ed energie sul lungo periodo, anche per determinarne la crescita a livello globale. E gli indizi di una lunga militanza della proprietà cinese a Milano ormai si sprecano dall'atto della presentazione del masterplan del nuovo stadio, che avrà la sua concretizzazione non prima del 2024. Un anno più tardi rispetto all'impegno che il presidente dell'Inter ha preso di fronte all'organismo che rappresenta le società calcistiche a livello europeo. La votazione andata in scena martedì all’hotel Presidente Wilson di Ginevra, infatti, ha stabilito che Zhang jr. è entrato a far parte dell'organo direttivo, sostituendo Ivan Gazidis, a.d. del Milan, per il ciclo 2019-2023. Un arco temporale nel quale il delfino di Suning ha assicurato di poter dar il suo apporto, soprattutto in veste di 'ponte umano' che unisce il vecchio continente a un'Asia sempre più ingorda di calcio. "L'appeal che i club europei hanno in Asia è un potenziale immenso che deve essere valorizzato anche per soddisfare la passione di milioni di tifosi che seguono le nostre principali competizioni", ha spiegato all'Ansa Steven Zhang, che con la freschezza delle idee ha abbattuto in un solo colpo il muro dello scetticismo anagrafico. "Mi sento pronto per questo incarico. Anche a 28 anni. Sono giovane, ma ho fatto tutto passo dopo passo: negli Stati Uniti e in Cina, c'e' una generazione di giovani imprenditori che sta ricoprendo ruoli di responsabilità”, ha aggiunto il numero uno di Viale della Liberazione.

L'Inter, in soldoni, è ritornata finalmente sulla mappa del Gioco almeno a livello di partecipazione: grazie al biennio Spalletti, i nerazzurri sono per il secondo anno di fila nel G-32 europeo, una piacevole consuetudine che ha permesso a Beppe Marotta di corteggiare Antonio Conte fino a convicerlo della bontà delle ambizioni della società. Tanti cambiamenti significativi che comunque non tradiscono le tradizioni di un club ultracentenario, come ha fatto notare l'altro ieri il vice presidente Javier Zanetti, baluardo nerazzurro inscalfibile in mezzo a una rivoluzione necessaria per far viaggiare la squadra in un tempo circolare in cui il futuro si congiunga a un passato vincente.

Dell'apertura di una nuova era se ne sono accorti anche i tifosi, già consapevoli da decenni che l'Inter non è per tutti. Il not for everyone inaugurato il 31 maggio, nel giorno dell'annuncio di Conte come nuovo tecnico, è un claim dietro al quale il popolo del cielo e della notte si identifica, si distingue dagli altri. Come quando si indossa la terza maglia 2019-2020, quella che presenta richiami alle stagioni 1997/1998 e quella del 2009/2010, entrambe iconiche per il club. O come quando salta a un passo dal Duomo per rivendicare la propria diversità dai cugini del Milan. E non fa nulla se Conte non ha troppa voglia di unirsi anima e corpo al coro, a fatti e parole ha già dimostrato di essere interista nel senso più professionale del termine: l'ex Chelsea tifa il proprio lavoro, vuole essere amato per i risultati che ottiene senza bisogno di strizzare l'occhiolino alla platea per ingraziarsela. 
"Io do il 300% e divento il primo tifoso della squadra per cui lavoro e sarà così anche all'Inter”. Una dichiarazione purissima di appartenenza alla causa che fa il paio con le lacrime di gioia di Steven Zhang versate all'Olimpico di Roma, dopo che l'Inter tornò a riveder le stelle grazie all'incornata di Vecino a completare la rimonta sulla Lazio.

"È vero, l’Inter è un’attività piccola all’interno di Suning ma allo stesso tempo è una responsabilità enorme. All’inizio della nostra operazione forse non l’abbiamo realizzato del tutto. È un club di football ma è anche un’anima e un marchio, a cui la gente dedica molte delle sue energie”, l'ammissione di Zhang al Corriere della Sera dello scorso 19 luglio. Che rivendica un dato oggettivo: si può essere imprenditori che vengono da lontano e innamorarsi dell'Inter, pur non avendo una tradizione di famiglia legata indissolubilmente alla storia del club. E allo stesso tempo si può avere un passato juventino, spesso anche di scomodo antagonista, e allenare con amore l'Inter. Questo è quello che unisce Conte e Zhang, i due 'stranieri' che vogliono ottenere la cittadinanza onoraria nerazzurra con le armi della lotta e del governo.

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 12 settembre 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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