Caro Giacinto,
viene difficile commentare i recenti avvenimenti che da giorni hanno dato nuova linfa alle polemiche post-Calciopoli, vedendoti coinvolto in prima persona, equiparato a gente che al calcio italiano ha fatto solo del male. Tu, invece, il calcio lo amavi, come hai sempre dimostrato sin da quando giocavi onorando la maglia dell’Inter, indossata per diciotto lunghe stagioni. Tu portavi in campo i valori sani di questo sport, e non li ha mai rinnegati. Il rispetto dell’avversario e delle regole erano ai tuoi tempi i punti cardine del calcio che tu sceglievi da autentica bandiera di innalzare, spontaneamente, tra le doti che hanno fatto di te uno dei ricordi più belli della gloriosa storia dell’Inter. Tu incarnavi la classe e lo stile della Grande Inter e di Herrera, di ciò che vuol dire vestire il nerazzurro, nell'anima. Diciotto anni senza macchie, ma perdonami se a volte mi viene da pensare, incredulo, a quell’Inter-Fiorentina 1-0, gol di Boninsegna su rigore, del 13 aprile 1975. Era il giorno della tua unica espulsione in Serie A. Un solo cartellino rosso su 475 presenze. Eppure il difensore è il ruolo con il maggior rischio di interventi scorretti. Tu no, nemmeno in quell’occasione, visto che l’espulsione era dovuta ad un timido applauso rivolto al direttore di gara. Ai cartellini rossi preferivi i gol, 59 in campionato, di cui non hai mai voluto perdere il vizietto. Ma, quella volta, l’arbitro Vannucchi doveva averti fatto arrabbiare parecchio…

Altra storia, invece, nel ’95 quando, da ambasciatore in campo dell’Inter, ti alzavi dalla panchina per calmare i giocatori, infuriati dopo che l’arbitro Rosica sistemava la barriera nerazzurra lasciando contemporaneamente che la Fiorentina battesse un calcio di punizione e segnasse senza troppe difficoltà. Rosica ti mostrava un cartellino rosso, amaro déjà vu che tu accettavi evitando di fomentare il nervosismo della squadra, colpita ingiustamente. "Esco subito", rispondevi amareggiato sottomettendoti a chi, per le regole del calcio, anche se nel torto ha il potere di prendere le decisioni che ritiene adeguate allo svolgimento regolare di una partita. Ricordi, poi, quando hai detto che, fra i tanti difetti che ha, il calcio è una delle poche cose che all'estero fanno parlare bene degli italiani? Ahinoi, hai assistito anche tu alle prime battute di qualcosa che nessuno si augurava potesse accadere mai. Il calcio italiano infangato dagli interessi di uomini che pur di vincere non si fanno scrupoli a manipolare strutture, risultati e valori del campionato. È crollato, di colpo, tutto quello in cui avevi creduto, nell’estate del 2006. Poco dopo, in settembre, tu ci avevi già lasciato. Magari da lassù, dove, chissà, tutto ha un sapore più dolce, ne hai sorriso in compagnia dell’avvocato Prisco, trovandovi a chiacchierare dei giochi di palazzo e di quegli strani episodi che si susseguivano nei campi di Serie A, e che a voi non hanno mai sfiorato. Ma adesso mi piacerebbe sapere cosa pensi, Giacinto, di chi utilizza il tuo nome per ridurre la brutta storia di Calciopoli ad un miscuglio di vergogna, dove tutti sono innocenti e allo stesso tempo colpevoli. Non tu Giacinto, che ora non puoi rispondere anche se lo vorremmo tutti. D’altronde, qualunque cosa diresti servirebbe solo a ribadire la tua integrità di cui nessuno di noi dubita ma conserva come esempio nel proprio cuore dove, tutti noi, tifosi nerazzurri, serbiamo indelebile il tuo ricordo, inscalfibile.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 10 luglio 2011 alle 00:01
Autore: Daniele Alfieri
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