Walter Zenga racconta la sua 'Vita da Campione' per il format di RaiPlay condotto da Federico Vespa. Un racconto articolato tra primo e secondo tempo, tempi supplementari e calci di rigore, dagli inizi al Centro Sportivo Macallesi alla brutta giornata vissuta in un incontro tra Salernitana e Pisa quando subì due gol che lo portarono a chiedere la sostituzione passando per il ricordo della tragedia dello stadio Ballarin di San Benedetto del Tronto del 7 giugno del 1981, quando l'Uomo Ragno, che difendeva i pali della Sambenedettese, assistette al drammatico incendio che costò la vita alle tifose rossoblu Carla Bisirri e Maria Teresa Napoleoni. "Un episodio che non dimenticherò mai, altra esperienza che mi ha segnato tantissimo. Vedere quella gente che fuggiva dalle fiamme, mentre ero in campo... Io ricordo tutte le partite della mia vita, di quella partita col Matera non ricordo nulla, l'ho cancellata. In campo c'erano le ambulanze però ci dicevano che non fosse successo niente e giocammo un'ora dopo, ma quella fu la più grande tragedia vista in uno stadio italiano".

Come ti sei sentito il giorno in cui hai varcato San Siro da titolare dell'Inter?
"Uno può diventare interista perché l'ha tifata o ha fatto 20 anni di carriera. Ma non può capire che cosa vuol dire essere interista, vivere a Milano, nascere interista, giocare in una squadra di quartiere come Federico Dimarco, poi giocare con l'Inter e vedere quella curva dove prima andavi inneggiare per te. A quel punto ti viene da dire: 'Io muoio per loro'. Io dico sempre che la partita che vorrei rigiocare è la prima che ho fatto con l'Inter, perché poi ne avrei giocate altre 473. Ti resta dentro, è una passione che ti porti per tutta la vita". 

Hai vinto uno Scudetto e due Coppe UEFA. Facendo contro la Roma una parata decisiva nella finale del 1991.
"Ma fui più decisivo nella finale col Salisburgo, in quella serata come si dice ho fatto le uova. Sapevo che sarebbe stata la mia ultima partita a Milano e volevo andare via con qualcosa di indimenticabile".

Quando aveste la sensazione che l'Inter del 1988-1989 sarebbe diventata una corazzata?
"Dopo una sconfitta in Coppa Italia con la Fiorentina per 4-3 a Piacenza, oltretutto stesso risultato col quale perdemmo sempre con la Fiorentina in campionato. Giocammo malissimo e ci fu una contestazione incredibile. Due giorni dopo ci fu una riunione in campo con Giovanni Trapattoni che ricorderò per tutta la vita. In quell'occasione ci siamo detti le cose come andavano dette, senza peli sulla lingua. La fortuna era che c'erano le Olimpiadi di Seul e il campionato iniziava il 1° ottobre. Furono due concomitanze: l'aver riconosciuto una sconfitta e avere avuto una pausa per ricaricarti. La contestazione gradualmente svanì, vincemmo la prima di campionato con l'Ascoli e da lì siamo ripartiti". 

L'esperienza più bella e meno bella da allenatore?
"Sono state tutte belle, perché ho trovato sempre amici e ho lasciato sempre qualcosa. Anche in Turchia, quando sono andato al Gaziantepspor, c'era un fruttivendolo che non parlava inglese ma mi conosceva e ogni volta mi porgeva un foglietto con le partite e mi chiedeva i pronostici. Pensava di vincere soldi coi miei consigli". 

Il ricordo di Gianluca Vialli e Sinisa MIhajlovic.
"Ho perso due amici, e li bacio tutti e due. Anche Andreas Brehme ho vissuto tanto. Però loro due sono quelli coi quali avevo legato di più: Sinisa mi ha dato una grande mano quando andai alla Stella Rossa, con Vialli siamo cresciuti insieme. Era l'amico di cui ti potevi fidare".

Perché ti definivi un tecnico mourinhano?
"Ho iniziato ad allenare a Catania nel 2006, quattro anni dopo arrivò il Triplete di Mourinho con l'Inter. È un mio idolo, se è in fase calante vorrei esserlo anche io. Non si ferma solo al campo ma conosce le cose a 360 gradi, questa è la sua forza". 

Chi ti piace dei nuovi portieri italiani?
"Meret, Caprile, Carnesecchi, e dimentico qualcuno... Siamo messi benissimo".

Un allenatore che ti ha cambiato la vita?
"Thomas Rongen ai New England Revolution. Era la prima volta che trovavo un tecnico che non faceva ritiri. Una volta tenne fuori un giocatore perché si mise la mano davanti agli occhi per via del sole e siccome l'indomani ci sarebbe stato il sole avrebbe toccato palla con le mani. Un'altra sera, invece, andò in spiaggia a Miami dopo una partita persa 4-0 a suonare la chitarra". 

Sezione: Copertina / Data: Ven 28 novembre 2025 alle 22:30
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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