Stadio San Siro, 26 agosto scorso. E' passata un'ora abbondante dal triplice fischio di Inter-Torino. Luciano Spalletti passeggia nervosamente, immerso nei pensieri cupi di un pari che non gli va giù, a pochi metri dalla porta che introduce alla sala conferenze del Meazza. Aspetta pazientemente che Mazzarri termini la sua analisi e intanto riflette silente, in solitudine, su quel che sarà il domani, sulle parole da dire alla squadra ad Appiano e sulle correzioni da apportare per far sì che un brutto avvio di percorso non si trasformi in una stagione deludente.

E' da solo, nella sua attesa, a pochi passi i rappresentanti dell'ufficio stampa. Sa però, il tecnico, di non esserlo nell'aspetto più importante: il sostegno societario. Quel rinnovo appena firmato fino al 2021 è un sintomo di incondizionata fiducia, un rischio per chi ha in mano (per un'importante fetta) il destino di felicità o rammarico di un mondo, quello nerazzurro, in cui gli umori e i destini dei protagonisti cambiano con celerità. Non esiste passato, quella qualificazione in Champions raggiunta in extremis dopo sei anni. Il traguardo da tagliare è sempre quello di domani, del successo in serie, particolarmente quando dalle tue scelte possono dipendere le fortune di una società nata per ambire al successo e che al trionfo si è disabituata dal 2011, anno della vittoria in Coppa Italia. Per questo assume ancor più forza la scelta di Suning. "Siamo con Spalletti, al di là delle passeggere burrasche", è la sentenza di quel contratto per altri tre anni.

Un accordo che non mette completamente al riparo (gli esoneri esistono, inutile girarci attorno) ma rende più complicato lo scollamento, il senso di sfiducia, nel momento in cui la squadra incappa nelle sue lune come accaduto contro Sassuolo e Torino. Una sensazione di bando alle follie improvvise che aiuta a rialzarsi dopo i tonfi, soprattutto se ci si affianca un 3-0 come a Bologna. Non solo: fa sì che i fantasmi di allenatori dall'acclamato curriculum non aleggino con troppa insistenza sui cieli di Appiano Gentile. Lo svincolato Conte, teorica prima scelta di Suning nella primavera di due anni fa, è un nome che non ricorre. L'eterno "tecnico che verrà", Diego Simeone, si promette per un futuro remoto i cui tempi appaiono ancora lontani. L'operazione nostalgia, José Mourinho, che ogni tanto balena nella mente di qualche tifoso in delirio da Triplete, non è mai sembrata così evanescente e lo sarebbe anche se lo Special One non fosse ancora sotto contratto con lo United (chissà per quanto).

Squadra forte, candidati forti, si potrebbe scrivere parafrasando un vecchio adagio spallettiano. L'esperto Luciano lo sa, così come è cosciente di avere una fiducia altrettanto solida, benché condizionata irrimediabilmente dai risultati. Non sarebbe calcio, non sarebbe Inter.

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Sezione: Copertina / Data: Mar 11 settembre 2018 alle 12:10
Autore: Mattia Todisco
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