L'ambiente, la stampa, lo stadio: non appena sono state formalizzate le squalifiche di Icardi e Perisic, tutto il mondo nerazzurro ha iniziato a guardare con frenetica curiosità alla gara casalinga con l'Empoli. Il motivo? Il solito: Gabriel Barbosa, in arte Gabigol, e la voglia da parte di tutti di vederlo finalmente esordire dal primo minuto in campionato, per poterne toccare con mano il ventilato potenziale, o magari soltanto per gustarsi con una specie di piacere voyeuristico i suoi numeri funambolici: quale occasione migliore di questa? Tuttavia, le previsioni della vigilia non paiono propizie a soddisfare questa curiosità e in campo, infatti, vanno Palacio ed Eder. Per ragioni diverse, i due non solleticano la fantasia degli interisti; ebbene, come prevedono i copioni più scontati e strappalacrime, Eder e Palacio si prendono una sontuosa rivincita, riconquistando il Meazza con umiltà, corsa e tecnica. Più di un Gagliardini ormai noioso da quant'è bravo e affidabile, più di un Kondogbia così sereno da tentare la giocata anche dopo un passaggio sbagliato, più della panolada, sono Eder e Palacio i protagonisti del pomeriggio di San Siro. Silenziosi e infaticabili come al solito, voi direte; e invece no, c'è dell'altro oltre l'abnegazione. Eccome, se c'è.
DI SUDORE E DI TRIVELE - "Ho usato l'esterno destro perché non ho il sinistro". Che sia realismo o irriverenza, questa dichiarazione che Eder ha rilasciato a Sky Sport nel dopopartita riassume appieno la sua prova. Umiltà e polmoni non gli difettano, è risaputo, altrimenti Conte non ne avrebbe fatto il suo più fido miliziano, nella sfortunata rincorsa alla finale di Parigi dell'ultimo Europeo. La rete con cui l'oriundo apre le marcature è un banale appoggio di petto a qualche centimetro dalla riga bianca, che a pieno diritto può passare inosservato al cospetto di una prestazione tutta corsa e sacrificio: Eder, come il carbone, produce energia a basso costo, e la distribuisce generosamente ai compagni di squadra. Tuttavia, quando la chimica lo consente, gli atomi di carbonio si aggregano diversamente, la terra li culla nel suo ventre e il tempo, lentamente, ne fa un diamante. Ecco cos'è lo splendido assist di esterno con cui Eder mette in porta Candreva: trattasi di gemma preziosa, un diamante che il buon azzurro ci ha nascosto a lungo nei suoi piedi veloci. Forse ha ragione lui, il suo mancino è troppo debole per non escogitare una soluzione alternativa, ma una giocata così va al di là del semplice pragmatismo: è arte, o meglio la dimostrazione che l'arte non è sempre guizzo del genio, ma può essere coltivata ed elaborata col tempo, nel buio di una cameretta o sul sedile della panchina di San Siro. Stropicciamoci gli occhi increduli, Eder è anche questo.
EL TRENZA SALAO - Qualche migliaio di chilometri più a nord di Bahia Blanca, risalendo in quell'America Latina che tende ai Caraibi, non oserete rivolgervi a nessuno con il termine salao. Salao, ai Caraibi, è quell'uomo sfortunato, perseguitato dalla sfiga più nera e assiduo conoscitore del demone dell'insuccesso. Hemingway, nel suo secondo periodo cubano, non aveva ancora conosciuto la depressione più nera, quella che a braccetto col whisky lo avrebbe condotto al suicidio circa dieci anni dopo; era però un nichilista consapevole e vanitoso, così tanto che la sua penna finì per partorire la più celebre figura di salao della storia dell'umanità, intorno al quale lo scrittore dell'Illinois costruì un romanzo memorabile. Sia chiaro, il calcio corre troppo veloce rispetto alla vita, e l'accostamento di Rodrigo Palacio al "vecchio" è valido finché si parla di pallone, delle sue trentacinque primavere e di quelle gambe che tanto bene hanno fatto all'Inter, ma ora possono inevitabilmente molto meno. Come il protagonista de "Il vecchio e il mare", però, el Trenza di Bahia Blanca pareva stanco, destinato alla pensione, persino privo di stimoli, vale a dire il finale più triste per un trascinatore silenzioso. Pochi i pesci pescati quest'anno dal Trenza, e tutti abbastanza piccoli: 0 reti in 10 apparizioni in campionato, un gol nella tetra trasferta praghese di Europa League e, da ultima, la rete al Bologna in Coppa Italia, unico momento pesante della sua stagione. Palacio, però, è uomo ostinato, e la sua prova con l'Empoli altro non è che un manifesto all'ostinazione: corsa a occhi chiusi, tagli intelligenti e soprattutto veloci come ai bei tempi, recuperi sulla propria trequarti e sponda di testa a rimettere in gioco un pallone difficile. Sta dando fondo all'energie, sta compiendo l'ultima impresa. Quando Pioli lo richiama in panchina, l'ostinazione diventa rabbia: la sua ultima impresa è stoppata sul più bello, il sopracciglio si aggrotta e i parastinchi volano via. Proprio come il vecchio di Hemingway, però, Palacio trova la sua gioia più grande nell'istruire un ragazzo, in cui specchiarsi quando la natura non è più benevola. L'immagine del Trenza che educa e incita Pinamonti è splendida, tanto più perché viene pochi minuti dopo la sua rabbia. Il salao di Hemingway chiuderà da eroe sconfitto, tornando in porto con la carcassa della sua più grande preda, ormai divorata dagli squali; in quel giorno, ormai prossimo, in cui saluterà Milano, Palacio riceverà ben altro encomio, ne siamo sicuri.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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