Fossimo a Fantasylandia , popolare serie televisiva degli anni ’80, Leonardo sarebbe uno dei padroni di casa. Da calciatore prima e da allenatore oggi, la creatività è la dote che più ne sintetizza il carattere e la personalità. Che numeri quando vestiva la maglia del Milan, ahinoi, anche in occasione dei derby. Un campione con la ‘c’ maiuscola, un sinistro degno dei più grandi. Tecnica brasiliana adattata al pragmatismo europeo, in altre parole. Ma la gioia di giocare e far divertire la gente è sempre stata una sua prerogativa, come dei suoi connazionali. Il calcio è un divertimento, è entusiasmo, è spettacolo: come sui rettangoli di gioco, anche in panchina Leo persevera in questo concetto irrinunciabile. E nessuno gli chieda di cambiare, di essere più concreto, di badare al sodo o di chiudersi in difesa. Sarebbe come tradire sé stesso e una carriera ricca di soddisfazioni e riconoscimenti al campione e all’uomo. Un uomo che ha dato tanto al Milan, e che nel derby è stato calpestato ignobilmente solo per una scelta professionale poco gradita ai tifosi rossoneri. A volte 13 anni si dimenticano troppo facilmente e nel modo più ‘cattivo’.
Ma fa parte del gioco e nella vita e Leo ha dimostrato, accettando questa ritorsione mediatica, di essere superiore a certe bassezze. Non ha però dimostrato di essere sempre in sintonia con il calcio italiano. Mi riferisco solo a una banale, ma poi non tanto, questione tattica, quella che gli ha fatto perdere il derby senza mezzi termini. La scelta di proporre il suo 4-2-fantasia, che poi numeri alla mano è un classico 4-2-3-1 più offensivo di quello di Mourinho, contro un avversario che dichiaratamente avrebbe agito in contropiede sfruttando gli spazzi concessi, non è stata una gran genialata. Certo, la voglia di schiacciare il Milan in difesa e colpirlo con le proprie frecce d’attacco era matta, l’intenzione di Leo era attaccare e mettere in difficoltà un avversario che non arrivava al derby al massimo della condizione psico-fisica. Ma un po’ di prudenza, forse, sarebbe stata gradita, almeno inizialmente. C’era poco di fantasioso infatti nel gioco nerazzurro, con le fasce ben arginate dai difensori e centrocampisti di casa e poca fluidità di manovra. Molto creativa invece l’impostazione difensiva, nel senso che avrebbe potuto ‘inventarsi’ qualcosa in ogni momento della partita. E in difesa, si sa, serve sicurezza, non creatività. Iniziare con un centrocampista in più, a mio modestissimo avviso, avrebbe permesso a Leonardo di leggere meglio la partita e decidere se cambiare in corsa. Di sicuro non avrebbe regalato il centrocampo al Milan, che ne ha fatto ciò che voleva.
Poi, rinunciare a Stankovic in un derby è oltre modo un azzardo, considerata l’esperienza e il carattere che il serbo sfodera in certe occasioni. Volendo fare un parallelo, il Milan ha vinto questo derby proprio come l’Inter di Mourinho ha vinto quello dello scorso gennaio: i rossoneri venivano da un buon momento di forma e miravano l’aggancio ai cugini (senza Eto’o), bravissimi però a sfruttare i limiti dell’avversario e un’impostazione tattica troppo offensiva. Guarda caso, sulla panchina del Milan c’era proprio Leonardo, che anche in nerazzurro ha commesso lo stesso errore. Peccato, soprattutto perché credo potesse e dovesse andare diversamente. Una rincorsa come quella in atto non meritava di essere frenata bruscamente così. Fosse stato un film o un romanzo, il derby sarebbe stato l’apice della Leomuntada, con annesso sorpasso fino alla vittoria di un meritato scudetto.
La realtà, però, oggi è diversa e non ci resta che leccarci le ferite. Magari un giorno Leo imparerà anche la gestione tattica di certe sfide. Gioia, allegria e ottimismo servono, ma non bastano da sole a vincere titoli. Mourinho lo insegna, oltre alla personalità serve una sagacia tattica di primo livello e il passato ce lo insegna. Mancano sette partite, sono poche ma neanche troppo. Bisogna recuperare 6 punti alla capolista, impresa difficilissima ma non impossibile. E questo gruppo ha dimostrato di sapersi rialzare in fretta dopo un capitombolo.L'importante è non concedere troppo alla fantasia: a volte, soprattutto per il tifoso, è più spettacolare la concretezza.
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