Torino, 28 aprile 1963. Da quanti anni, presidente Moratti, aspettava questo momento? Certo, la domanda è retorica ma è impossibile non porla. Il conto è presto fatto: otto. Otto anni. Otto lunghi anni, nei quali sulla panchina nerazzurra si sono seduti otto allenatori, alcuni più volte: Campatelli, Meazza, Frossi, Ferrero, Carver, Bigogno, Achilli, Cappelli. Quasi una formazione. E nelle otto sessioni di calciomercato - tra acquisti e promozioni dalle giovanili – sono arrivati ben novantotto giocatori. Sempre questo numero, l’otto, simbolo dell’infinito, che ritorna... Tutti, insieme, hanno fatto il possibile per vincere ma il massimo risultato portato a casa è stato un secondo posto, quello del 1961/62 dietro il Milan, tre terzi posti, uno dei quali figlio della partita delle polemiche giocata dai ragazzini nerazzurri contro la Juventus il 16 aprile 1961, un quarto, un quinto e un nono. Ora, è il momento del primo posto, ma c’è ancora da soffrire, da attendere una settimana. Prima di liberare la gioia e festeggiare. Con merito.
Oggi – forse – l’Inter ha vinto lo scudetto e ci si sente veramente felici. E’ come essere al centro del sistema solare. E’ come vivere a mezz’aria. Suarez con il pugno alzato alla sudamericana corre fin sotto la tribuna e rende omaggio al commendatore Moratti. Un vero grazie, presidente. Per la costanza, l’impegno economico, la voglia mostrata, senza mai mollare, senza dar corpo all’idea di cambiare l’allenatore, dopo che Herrera si era posto in litigio perenne con il mondo e collezionava multe quasi ogni lunedì. I traguardi raggiunti dopo tanta fatica e tanta attesa hanno il significato di una conquista. Valgono il doppio, forse il triplo. “Quei tre quarti d’ora della ripresa – scriveva la Gazzetta del 29 aprile ‘63 – con Picchi che ciondolava impotente in mezzo all’area, Zaglio confinato ai bordi con un presentimento di menisco. Nove contro undici, e bisognava difendere quell’1-0 facendo una trincea, potendolo sarebbe corso anche lei, presidente, davanti a Bugatti per far trincea.”.
Adesso, il presidente, è circondato da cento persone, è costretto a parlare, raccontare, sviscerare le emozioni, liberarsi di tutto quello che gli passa per la testa. Sostantivi, aggettivi, verbi, dalla forma orale prendono subito forma scritta sui taccuini dei giornalisti.
“Ero nervoso, prima del match, e un pochino lo erano anche i giocatori. Poi ci siamo parlati, ed allora la volontà di vittoria di tutti i ragazzi mi ha calmato ed ha calmato anche loro. Ma la tranquillità vera l’ho avuta dopo quei primi dieci minuti, la squadra operava con criterio, senza dubbio era la più forte. Il gol di Mazzola è stato stupendo, per due motivi. Uno per la fattura e bisognerebbe fare un monumento a Corso, quello è un mostro se ci si mette. Poi perché l’ha siglato con un gran tiro. Mazzola in questa città che vide suo padre cogliere le più grosse soddisfazioni, un ragazzo del nostro vivaio. Vorrei dire a questo punto, dire grazie a Lorenzi che ce lo ha portato.” I taccuini non sono sazi. Si riempiono riga dopo riga ma c’è ancora spazio bianco. Nelle mani degli astanti ancora premono, accompagnati dalle biro, fin sotto il naso del commendatore Moratti, per capire cosa ha provato per tutto il secondo tempo. “Una ripresa balorda, praticamente l’Inter giocava in nove, e dare due giocatori di vantaggio alla Juventus non si poteva, che diamine! Eppure ce l’hanno fatta lo stesso, ha visto con che animo si sono battuti, quando si ha la molla di una simile volontà, nessun traguardo è impossibile. E adesso, forse, abbiamo vinto il campionato. Mi raccomando, sa, quel forse. Ci tengo”.
Juventus – Inter 0-1
Marcatore: Mazzola al 26’ primo tempo.
INTER: Bugatti, Burgnich, Facchetti, Zaglio, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Di Giacomo, Suarez, Corso. All: Herrera.
JUVENTUS: Anzolin, Emoli, Sarti, Salvadore, Castano, Leoncini, Sacco, Del Sol, Nicolè, Sivori, Stacchini. All: Amaral.
Arbitro: Adami.
Note: Giornata calda, di pieno sole; terreno in soddisfacenti condizioni. Da uno scontro a tre con Bugatti e Stacchini, Picchi è uscito malconcio alla solita gamba. Zoppicherà per l’intero incontro; senza abbandonare il suo posto, visibilmente menomato. Più grave l’incidente toccato a Zaglio: urto con Sivori e gamba rigida. Dal 38’ minuto del primo tempo non ha più toccato palla, rifugiandosi all’estrema sinistra. Ammoniti: Sivori, Castano e Guarneri. In tribuna il C.T. per le Nazionali, Fabbri. Stadio esaurito con circa 65.000 spettatori di cui 50.000 paganti per un incasso di 70.000.000. Calci d’angolo 8-3 per la Juve (pt: 2-0 per l’Inter).
Roma – 5 maggio 1963. “Se dovessimo esprimere tutte le giuste critiche per l’Inter saremmo costretti a recare grave torto alla Roma che ha disputato una partita stupenda ma una spiegazione per questo risultato bisogna pur fornirla, dopo aver premesso che soltanto la storditezza di taluni avanti giallorossi, al momento del tiro, ha limitato il passivo dei nuovi campioni a sole tre reti…”. Così recitava la cronaca di Roma – Inter 3-0 della Gazzetta, in prima pagina di lunedì 6 maggio 1963. Ma il titolo, non la cronaca, diceva tutto quello che importava: “INTER (0-3 a Roma) campione”. Adesso anche la matematica è interista. Dopo il match di Torino, l’Inter si portava avanti di sei punti in classifica rispetto alla Juventus ma le partite da giocare erano ancora tre. Teoricamente – si assegnavano due punti per la vittoria e in caso di arrivo a pari punti non si calcolavano gli scontri diretti ma si disputava lo spareggio – i bianconeri potevano raggiungere i nerazzurri. Ma la Juventus impattava a reti bianche a Mantova: “Alt a Sivori e C. pari imposto da un Mantova ben organizzato” scriveva la Rosea. L’Inter, pur sconfitta, è campione d’Italia. L’ottavo scudetto – poteva non essere questo il numero !?– entra in bacheca. Il primo dell’Inter firmata Moratti e H.H., il primo tricolore “moderno”, riferito a un calcio nuovo, evoluto, con i ritiri, la preparazione atletica, la televisione. Il primo piolo di una scala che porterà l’Inter in cima all’Europa e al Mondo.
Roma – Inter 3-0
Marcatori: Manfredini al 26’ pt; Manfredini su rigore al 18’ st; Menichelli al 32’ st.
ROMA: Cudicini, Fontana, Carpanesi, Jonsson, Losi, Guarnacci, Orlando, De Sisti, Mafredini, Angelillo, Menichelli. All. Foni
INTER: Bugatti, Burgnich, Facchetti, Bolchi, Guarneri, Picchi, Bicicli, Mazzola, Jair, Suarez, Corso. All. Herrera.
Arbitro: Lo Bello.
Note: giornata di sole, terreno in perfette condizioni. Ad 1’ minuto dal termine il solito incidente a Picchi che viene trasportato direttamente negli spogliatoi. Ammoniti Orlando e Suarez. Calci d’angolo: 12-4 in favore della Roma (primo tempo 7-3). Spettatori oltre 70.000, di cui 42.293 paganti, per un incasso di 60.729.000.
Perché, quindi, ricordare (o cercare di dimenticare) il 5 maggio dell’anno 2002? Simbolo di una domenica più che storta, bestiale, drammatica per i cuori nerazzurri, ma icona di un’epoca sbagliata perché le regole non erano regole. Almeno, non per tutti. L’Inter ebbe sì il grave torto di fallire il match ball ma poteva, doveva essere già campione prima di incontrare la Lazio. E se questi ricordi del 1963 targati Grande Inter sono troppo lontani per i tifosi più giovani – impossibile non raccontarli, doveroso farlo perché lo sappiano a mezzo secolo esatto da allora – basta scivolare indietro con la mente di poco, per trovare un altro 5 maggio da ripensare con orgoglio. Quello del 2010: l’Inter vince la Coppa Italia, il 16 maggio arriverà lo scudetto, il 22 la Champions League. Oggi, 5 maggio 2013, qualcun altro potrebbe festeggiare. E’ la legge dello sport. Non tutte le domeniche sono uguali. Teniamoci stretta la nostra, di domenica.
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