Intervistato dal magazine tedesco 11 Freunde, Herbert Prohaska, primo straniero a vestire la maglia dell’Inter dopo la riapertura delle frontiere decisa nel 1980, ripercorre i primi approcci con il club nerazzurro: “La chiamata dall’Italia mi sorprese molto, in Serie A da quasi vent’anni vigeva il blocco per gli stranieri. Un passaggio lì per me era quindi praticamente impossibile. E’ successo tutto come se fossimo stati in un film di agenti segreti. Un direttore sportivo è venuto da me a Vienna, l’ho incontrato in un albergo. Solo lì mi ha spiegato chi fosse e per chi lavorasse. Mi spiegò che quell’estate il blocco delle frontiere sarebbe finalmente stato cancellato e che ogni squadra avrebbe potuto ingaggiare uno straniero. Insieme all’Austria, l’Italia per me resta sempre in prima posizione. Anche per via del cibo squisito. Ho avuto una grossa concorrenza, l’Inter doveva scegliere tra me e Michel Platini. Alla fine, la decisione spettò al tecnico Eugenio Bersellini: lui voleva un centrocampista offensivo, che però sapesse agire anche nelle retrovie. Platini giocava dietro le punte e se perdeva il pallone spesso rimaneva in avanti. Io invece ero un po’ più predisposto difensivamente”.
L’esperienza all’Inter durò due anni: “Non importava quello che abbiamo raggiunto, per la dirigenza era troppo poco. Il primo anno riuscimmo ad arrivare alle semifinali di Coppa Campioni perdendo col Real Madrid, l’anno dopo vincemmo la finale di Coppa Italia. Ma i dirigenti del club alla fine decisero che avrebbero potuto avere uno straniero migliore, e mi lasciarono andare. La stessa cosa mi è successa alla Roma. Le regole cambiarono nel frattempo, gli stranieri tesserabili diventarono due; ma per me dopo una stagione non c’era più spazio e dovetti andare via”. Ma Prohaska parla ancora dell’Italia come di un sogno: “Gli stadi erano sempre pieni, nessun attore o politico avrebbe mai goduto di tanta visibilità. In quanto calciatore ero un dio. Nei principali locali non pagavo. Quando ero all’Inter, c’era un fan che diceva di portare dall’aeroporto tutta la gente che desiderava vedermi; gli chiesi se non doveva lavorare e lui rispose: “Guarda, io lavoro nel trasporto pubblico e lì hanno debiti per miliardi di lire. Se non ci fossi domani, mica mi arresterebbero”. Questo stile di vita lo trovavo straordinario. E poi, si diceva che in Italia il 70% delle persone vivono per mangiare, il restante 30 di mangiare. Io facevo parte di quel 70”.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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