Intervenuto in diretta Instagram con il canale ‘Fifa World Cup’, Javier Zanetti ha parlato tanto del suo trascorso con l’Argentina e della lunga carriera all’Inter. Ecco le dichiarazioni principali in ottica nerazzurra del vice presidente del Biscione.
GLI AVVERSARI - “Ho avuto la fortuna di affrontare grandi giocatori in 23 anni di carriera: posso dire Zidane, Kaka, Cristiano Ronaldo, Messi, Henry. Sono tutti giocatori difficili da marcare, ognuno per le sue caratteristiche. Dovevi correre tanto per stargli dietro”.
RONALDO - “Ricordo il gol che fece in finale di Coppa Uefa contro la Lazio, saltando Marchegiani. Fu una grande notte e un’azione straordinaria. Il Ronaldo dell’Inter era straordinario, arrivava da quello che stava facendo al Barca: era nel suo miglior momento. Il suo arrivo in Italia è stata una rivoluzione per la gente che ama il calcio”.
ADRIANO - “Ricordo un assist da fondo campo che gli feci contro il Valencia. Aveva potenzilità enormi, si vedeva. Ricordo la prima partita di Adriano con l’Inter, a Madrid contro il Real. Calcio di punizione dall’Inter: aveva segnato con un missile, golazo all’incrocio. Meno male che non ha preso nessuno in barriera… tremendo. Si presento così all’Inter. Aveva grande forza fisica, era forte di testa e aveva una grande qualità. Era un grande attaccante”.
MOMENTO TOP IN CARRIERA - “La notte di Madrid. Non solo perché avevo vinto il trofeo da capitano che all’Inter mancava da 45 anni, ma anche perché ho festeggiato 700 partite in nerazzurro: si chiude tutto in una grande notte per me, per i miei compagni e per la gente dell’Inter. Abbiamo finito vincendo il Triplete e siamo l’unico club italiano ad aver fatto”.
MOURINHO - “Avevamo un allenatore di grande capacità e personalità, curava i dettagli e stava sempre attento a tutto. Era un grande motivatore. José ci fece capire che potevamo fare di più. Eravamo una squadra di grandi giocatori perché c’era tanta qualità, ma anche un gruppo di grande personalità, grandi uomini. Con lui abbiamo coronato due anni fantastici. Ricordo ancora quando ci siamo conosciuti, ero con mia moglie all’aeroporto di Roma, stav partendo per l'Argentina: mi squilla in cellulare, un numero portoghese. Rispondo e sento ‘Ciao, sono José Mourinho. Mi scuso per il mio italiano’, ma parlando un italiano perfetto (ride, ndr). Mi disse anche che aveva appena firmato con l'Inter, che non vedeva l’ora di lavorare con noi e che ero il suo capitano. Questo fu il primo contatto. Finita la conversazione, ho detto a mia moglie che era Mourinho: non ci credeva neanche lei. Questo spiega la classe che aveva come persona".
L’ARRIVO ALL’INTER - “Un cambiamento grandissimo. Nella mia testa l’idea era di restare al Banfield e crescere, magari finire in un grande club in Argentina per poi fare il salto in Europa: in quel momento dovevo essere preparato. Fu un grande responsabilità, non sapevo se sentirmi pronto per un club con la storia dell’Inter e per un campionato come quello italiano. Quell’estate ero il quarto straniero nuovo all’Inter e dal primo momento lì ricordo una società vincente che condivideva i giusti valori. Era un ambiente familiare, l’Inter è famiglia. La prima sensazione che hai all’Inter è questa: famiglia. Per uno straniero, arrivare in un paese come l’Italia poteva essere complicato, ma mi sono ambientato cambiando le mie abitudini e crescendo in responsabilità, con un grande cultura del lavoro. Mi sono formato".
LA FASCIA - "Poi sono diventato capitano di gente come Ronaldo, Vieira, Baggio, Ibra: poi anche di Messi nell’Argentina. E’ stata una bellissima esperienza: la cosa che mi ha segnato è stato mio il cammino. Uno può vincere o perdere, ma la carriera che uno si costruisce è la cosa più importante. Moratti aveva visto una cassetta del calcio argentino per visionare Ortega, poi disse che gli piaceva il numero 4. Nel primo contatto, Ottavio Bianchi mi chiese dove volevo giocare: nel 3-5-2, mi mise a destra con Roberto Carlos a sinistra. Nei primi dieci anni vincemmo solo la Coppa UEFA, ma con i compagni e il presidente dicevamo sempre che il nostro momento sarebbe arrivato: se ti alleni seriamente, vieni ripagato. Infatti poi vincemmo tutto: i miei primi anni all'Inter mi servirono a costruire quello che è successo dopo. Una cosa che volevo sempre è che i compagni mi rispettassero per il mio modo di comportarmi dentro e fuori dal campo. La fascia fu un onore e un privilegio. Gran parte degli argentini, ma anche dei brasiliani, hanno aiutato l’Inter a vincere. Il Sudamerica è molto presente nell’Inter, che è la quadra Internazionale”.
IL TERZINO - “La prima cosa a cui devi pensare è marcare, poi devi avere la capacità per ribaltare l’azione e fare la cosa migliore. Nel 2010 a destra all'Inter c’era Maicon, la giocata era automatica. Lui per noi era fondamentale, era come avere Roberto Carlos, Marcelo o Dani Alves: giocatori che quando vanno in attacco creano qualcosa in più. Maicon per noi era un arma letale, credo che il ruolo del terzino sia molto importante”.
DIRIGENTE - “Quando mi preparavo all’addio al calcio, pensavo sempre di poter poi contribuire da dirigente. Quando finisco di giocare l’Inter mi chiede di essere vice presidente, capisco che è un ruolo importante e che richiede responsabilità. Ma dovevo prepararmi. Ho studiato finanza e marketing alla Bocconi di Milano perché volevo essere un vice presidente non solo dedicato alla parte sportiva. Non volevo essere la figurina in club come l’Inter, per un’Inter che vuole crescere a livello internazionale con tanti progetti di marketing e dell’ambito sociale dovevo avere una visione completa. Ora lavoro di squadra con gli altri dirigenti, e mi piace: ognuno è utile per quello che può dare. Per far vincere la squadra in campo serve anche il lavoro di squadra”.
L’ULTIMA A SAN SIRO - “Fantastica, contro la Lazio. Una grandissima emozione perché tutto lo stadio è venuto a salutarmi e vedere i bambini con il numero 4 sul viso, tante famiglie che non volvano perdere la partita... mi sono passati in testa tutti gli anni all’Inter. Potendo, avrei abbracciato tutti. Un momento che porterò per sempre nel cuore: il legame con il tifoso interista è molto forte e sarà sempre così. Non so come spiegarlo: c’è una sintonia molto forte, per quello ho decisione di indossare solo questa maglia”.
IL MUSEO - “Ho pallone della finale a Madrid firmato da tutti i miei compagni, la fascia di Capitano. Guarda il mio museo (ride, ndr). Sono tutte cose per momenti che voglio ricordare: guardo le fasce e le maglie che ho indossato in 20 anni di carriera all’Inter: qui c’è un pezzo della mia storia”.
L’ESPRESSIONE DOPO LA FINALE DI MADRID - "La faccia non era la mia, era deformata dalla felicità per aver conquistato un trofeo storico (ride, ndr). Nei primi 10 anni all’Inter abbiamo vinto solo una Coppa Uefa. Con i compagni e il presidente sapevamo che il nostro momento sarebbe arrivato: il lavoro paga sempre. Poi abbiamo vinto tutto, ma i primi anni mi sono serviti molto per costruire quello che sono diventato dopo. La Champions? Alzare quel trofeo è stato unico".
ROBERTO CARLOS - "Abbiamo fatto solo un anno insieme all’Inter, ma fu fantastico. E’ una grande persona, era anche lui nuovo in Europa. Fu un anno solo, ma quando ci vediamo ci abbracciamo e ricordiamo i bei momenti”.
In chiusura, Zanetti manda “Un saluto a tutti gli interisti e a tutti gli italiani. Speriamo di tornare alla normalità e di rivederci presto allo stadio, così ci abbracciamo tutti quanti”.
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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