Whatever it takes, ovverosia: qualunque cosa sia necessaria. Fino a qualche giorno fa, era solamente il titolo di una delle canzoni più coinvolgenti degli Imagine Dragons; ma adesso, è diventato il cavallo di battaglia di tutti coloro che sono impegnati in prima persona per cercare di vincere questa guerra esplosa all’improvviso e destinata a durare per chissà quanto altro tempo contro un nemico subdolo e invisibile, che ci sta facendo vivere giorni di angoscia, in uno scenario che se non è da guerra mondiale francamente non si sa in quale altro modo possa essere definito, visto che di caduti sul campo se ne contano ogni giorno a centinaia restando solo in Italia. Per combattere il Covid-19, quindi, bisogna fare ‘whatever it takes’, come ha dichiarato il primo ministro Giuseppe Conte in videoconferenza coi suoi colleghi dell’Unione Europea, richiamandoli tutti alle proprie responsabilità di fronte ad una crisi straordinaria per risolvere la quale occorrono mezzi e misure altrettanto straordinari.
Nel frattempo, i lockdown, le quarantene nazionali, proseguono incessantemente sulla scia di quanto decretato proprio dal premier italiano nei giorni scorsi; una situazione alla quale, alla fine, ha dovuto adattarsi anche il mondo del calcio, che dopo le situazioni tragiche, perché di comico francamente in questo periodo c’è davvero nulla, dei giorni scorsi, tra proposte di partite da giocare a porte aperte perché tanto l’ordinanza di chiusura sarebbe decaduta e quindi come d’incanto rischi non ce ne sarebbero stati più, una giornata di campionato chiusa in maniera forzata e il pasticcio delle partite europee giocate tra opposti estremi, dove ad un Anfield ricco di pubblico faceva da contraltare un Parco dei Principi desolatamente vuoto al suo interno, ma non fuori come purtroppo abbiamo avuto modo di constatare nelle apocalittiche immagini di festa del post-partita del Paris Saint-Germain, alla fine tutto il calcio europeo è finito sotto chiave. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, anche se forse il detto migliore per descrivere la situazione è che tutto è stato deciso a buoi scappati da tempo immemore dalla stalla, visto che i casi di positività nel calcio sono esplosi a dismisura negli ultimi giorni, senza guardare in faccia nessuno.
Ma siccome siamo nei giorni del ‘qualunque cosa ci voglia’, allora le componenti del mondo calcistico hanno logicamente avvertito l’esigenza di studiare qualunque soluzione possibile per cercare di capire come provare a portare avanti tutti i discorsi forzatamente sospesi per le cause che ormai tutti sappiamo. E allora, ecco la convocazione a distanza degli Stati generali del calcio voluta dalla stessa Uefa, per capire quali possono essere le modalità per far riavviare il carrozzone del pallone. Ne sono scaturite una serie di decisioni tutto sommato attese, su tutte quella più logica: nell’ottica della necessità di godere del maggior lasso temporale possibile, e comunque con la volontà di chiudere la stagione sportiva alla sua naturale scadenza del 30 giugno, ecco che il fascinoso Europeo itinerante studiato per i 60 anni della competizione, e che sarebbe dovuto scattare da Roma fra poco meno di tre mesi con il match tra Italia e Turchia, dovrà pazientare di un anno prima di entrare in scena. Di conseguenza, slitteranno anche il primo Mondiale per Club nella nuova versione allargata, fortemente voluto dal presidente Gianni Infantino, e la Copa America prevista questa estate.
Scelta necessaria per raggiungere quello che sostanzialmente è l’obiettivo principale di tutti, vale a dire la conclusione dei campionati nazionali e delle competizioni continentali, come detto possibilmente entro l’ultimo giorno di giugno, salvandosi quindi dalle logiche beghe legali derivanti dal destino dei contratti di alcuni giocatori che perderanno di validità alla fine di quella stessa data, ovviamente “qualora la situazione migliorasse e riprendesse a giocare fosse sufficientemente appropriata e prudente”, come da risoluzione congiunta firmata da tutti gli stakeholders che hanno preso parte all’assemblea. Adesso che il campo è stato ufficialmente sgomberato, a cascata si deciderà per il destino di Champions League, Europa League, Serie A, Premier League e compagnia cantante. Per le quali ora sembrano aprirsi un’ampia varietà di scenari, dal più roseo al più apocalittico, che però presentano un tratto in comune: la forzata compressione di tutti gli impegni, addirittura col rischio di dover giocare un numero estremo di partite in uno spazio ridottissimo e l’eventualità di giocarsi i titoli con le prime avvisaglie di canicola che indubbiamente condizioneranno.
“Di fronte a questa crisi, il calcio ha mostrato il suo lato migliore con apertura, solidarietà e tolleranza", ha dichiarato lo stesso Aleksander Ceferin a fine assemblea. Avrà tutte le ragioni del mondo, lo sloveno, sostenuto anche da Andrea Agnelli per il quale adesso l’obiettivo, come detto, diventa “concludere la stagione dei club 2019/20 nel modo più pratico e, oltre a ciò, garantire che il calcio, come la società nel suo insieme, ritorni il più rapidamente possibile alla sua forma e al suo ritmo naturali”. Già, ma nel mare di belle intenzioni e davanti anche alla volontà di recitare ognuno la propria parte per quanto possibile nella lotta per superare questa situazione sciagurata, un dubbio però non si dissipa: tutto questo accadrà? Perché ancora tante, troppe variabili restano lì, minacciose, senza la minima traccia di una soluzione all’orizzonte. Una su tutte: c’è davvero da essere così ottimisti al punto da fissare delle date?
Questa legata al Coronavirus sembra un’emergenza durissima da estirpare, visto che già in Italia, dove l’epidemia è sciaguratamente arrivata per prima in Europa, ancora non si capisce quando arriverà il dannato picco oltre il quale la curva comincerà ad andare in fase discendente, con prospettive sempre più allarmanti anche per gli altri Paesi. Ovvio, si è già messa in preventivo l’eventualità di spingersi anche oltre il 30 giugno per cause di forza maggiore; ma anche non si rendesse necessario questo sfondamento del capodanno calcistico, con quale spirito e soprattutto in quali condizioni potrebbero arrivare i calciatori a giocarsi tutti i traguardi in uno strettissimo lasso di tempo, specie dopo uno stop forzato e una preparazione praticamente tutta da rifare, specie perché da adattare anche ai primi caldi stagionali? E se, come purtroppo sembra possibile, le condizioni sanitarie non permetteranno un avvio in tempi, tra virgolette, brevi, cosa ne sarà di tutte queste belle intenzioni?
Il calcio è un universo che gravita sempre più sul piano economico che su quello sportivo, e ovviamente, come tutti i comparti dell’economia europea, pagherà certamente conseguenze pesantissime da questa drammatica situazione. Anzi, è già preventivabile un vero e proprio bagno di sangue, con stime di perdite finanziarie a livelli da ecatombe, che influiranno in maniera significativa sul futuro di tante, troppe, società professionistiche. La volontà di chiudere regolarmente i campionati è inevitabilmente legata a doppio filo anche a questo allarme rosso, nel tentativo di arginare il fiume di denaro che scorre via dalle case; ma a questo punto, le leghe non avrebbero dovuto porre maggiore attenzione all’avere maggiori garanzie a tutela degli interessi di coloro che investono, ancor prima di pensare di adattare un calendario allo stravolgimento generale dettato da cause di forza maggiore?
E volendo restare sul piano meramente sportivo, quanto coinvolgimento potrà creare tra i tifosi questo campionato portato avanti a forza, magari con formule forse affascinanti ma impiantate a forza come playoff, playout, final four, roba comune in altri universi sportivi ma che nel calcio sono sempre state viste con distacco? Nella mente di chi gestisce, la cosa più giusta è completare ciò che si è iniziato; ma nessuno potrà togliere all’eventuale proseguimento di questa stagione il sapore di un torneo fittizio, plastificato, una fine di un torneo che nella coscienza generale è da definirsi finito già a fine febbraio, con i primi rinvii di partite. No, tutto questo un senso davvero non ce l’ha.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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