Il tre e il sette chiamavano, la banda Mazzarri non ha risposto. In una giornata dalle mille e più occasioni di spunto il leitmotiv è ancora questo: ma la squadra bella e spumeggiante delle ultime uscite esterne perché in casa è solo utopia? Primo triplone di vittorie in campionato e settimo risultato utile consecutivo rimandati a data da destinarsi ed ennesimo sogno di rimonta impossibile svanito per sempre. Champions addio ed Europa League che ora non deve scappare, come ha puntualizzato nell'immediato post match capo ET. Un tabù da sfatare e un Meazza con cui far pace dopo un'annata più down che up. La pioggia e i nuvoloni che hanno accompagnato la domenica milanese, alternati ad un timido sole, possono essere la giusta metafora per analizzare la prestazione dell'Inter. L'Atalanta si presenta a 'San Siro' senza praticamente nulla da perdere, con la leggerezza di non aver pensieri di classifica e con un gioco super da offrire, mentre i nerazzurri erano alla ricerca di una consacrazione (almeno parziale) che in questa stagione non è mai arrivata. Della serie 'Vorrei, ma non posso'. E così è stato, anche oggi. Un pareggio che fino al 90' sembrava fin troppo stretto e che Bonaventura ha trasformato in una pesante sconfitta. Beffa, forse un incubo, ma la realtà è questa. L'Atalanta si conferma tabù, bestia sempre più nera e per vedere l'ultimo sorriso interista contro i bergamaschi bisogna tornare a quel 24 Aprile 2010 e rievocare The Monster José Mourinho: fu 3-1 spettacolo in quel finale di stagione che avrebbe portato allo storico Triplete. Altri tempi, altre storie, altra Inter. Da allora sono solo dolori, con solamente tre punti conquistati in 6 incontri.
Tornando al presente, credo che non sia da grande squadra trovare nella sola sfortuna la totale giustificazione di questo passo falso interno. Nelle ultime settimane si è fatta un'analisi logica, perfetta, legittima: in casa le grandi squadre possono faticare a sbloccare il risultato contro le cosiddette 'piccole' che si chiudono per poi ripartire in contropiede. I punti, soprattutto per le squadre che devono salvarsi, pesano, pesano e pesano. Questa chiave di lettura combacia perfettamente con la mole di gioco mostrata dall'Inter nelle ultime uscite lontano da Milano, più spazi, più gioco, più libertà, più gol, più punti. Tutto logico. La nota dolente che porta la sconfitta di ieri, però, è un'altra. L'Atalanta di Colantuono si è presentata giocando da grande, mettendo quasi all'angolo l'Inter nei primi 25' del primo tempo, andando più volte vicina al gol, chiusa da qualche super intervento del buon Samir. L'Inter ha subito inspiegabilmente e probabilmente, oltre alla mancata cattiveria che non ha permesso alla squadra di vincere nella ripresa, dovrà essere questo l'elemento di maggior riflessione. Secondo tempo, invece, ottimo e altrettanto sfortunato. L'Inter paga oltremisura una gara che, sicuramente, non meritava di perdere. Ma il calcio è anche questo, piacevole compagno d'avventure o spietato nemico. Oggi ha voltato le spalle.
La cattiveria, si diceva. Lo stesso Mazzarri ha sottolineato questa mancanza che è sostanzialmente la differenza tra una grande squadra e un'altra che vuole diventarlo. Senza cadere in antipatici paragoni, è onesto sottolineare come la Juventus abbia vinto, per esempio, a Genova immeritatamente, l'Inter ha perso una partita incredibile. E' questa, forse, la distanza che c'è ancora con i rivali di sempre, ma il tempo - per chi lo merita - è galantuomo e il percorso su cui Mazzarri e Thohir stanno pianificando il futuro promette bene. Con un Icardi in crescita, un Palacio certezza e magari un top in arrivo l'Inter potrà e dovrà tornare protagonista assoluta a partire dalla prossima stagione.
Per il momento, solito leitmotiv e il Meazza rimane nemico. Giovedì c'è l'Udinese, l'occasione per chiarirsi e far pace.
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