Alla vigilia della gara contro lo Spezia, sulla carta la più semplice delle gare finora in calendario, Antonio Conte ha scelto la via del silenzio non tenendo l'usuale conferenza stampa pre match optando, al contrario, per la via del silenzio. Talvolta presentarsi ai microfoni costa più energie di scendere in campo, perché rispondere a domande indiscrete (o scomode per così dire) crea più problemi di una partita tatticamente brutta e complessa come quella di mercoledì contro il Napoli. 

Stare in silenzio e 'rifiutare' un confronto con chi potrebbe creare insidie non è mai una mossa troppo apprezzata, specie per chi l'additerebbe come una mancanza di audacia. Vero. Ma non se tale scelta viene presa all'indomani di una vittoria e alla vigilia di un match meno complesso di quello precedente, arrivando peraltro con tanto di giustificazione, ogni congettura è facile lasciarla passare in cavalleria. E tant'è. Perché per una volta ogni critica potenzialmente sollevabile nei confronti di tale scelta potrebbe essere rigettata con un conciso, facile e sincero: "Non c'è proprio nulla da dire". Difficile da credere? Meno di quanto si creda. A giudicare dagli ultimi quattro giorni da dire e commentare c'è ben poco. Da mercoledì 9 a sabato 19 dicembre in casa Inter si sono susseguiti una serie di emozioni degne di quel famoso aforisma di Javier Zanetti secondo il quale l'Inter è quella cosa che ti mette davanti "vittorie impossibili e tonfi clamorosi, partite della vita e passaggi a vuoto inimmaginabili" e se al tonfo clamoroso di mercoledì 9 dicembre non è ancora susseguita la vittoria impossibile che laverebbe quel peccato indimenticabile che è stata l'estromissione dall'Europa, il fantomatico percorso della squadra di Conte (da quel giorno ad oggi) ha reso quella fiducia frantumata sotto i colpi ferire inflitti dagli ucraini dello Shakhtar. Depressione, rabbia, orgoglio, rivincita, adrenalina, soddisfazione e per finire un pizzico di felicità. Queste ultime mai ammesse dai tifosi, ancora troppo scossi e scottati da quel mercoledì 9. Eppure così è stato, malgrado le vittorie stentate che durante i novanta minuti non lasciano assaporare un bel niente e al contrario suscitano una inaudita voglia di 'spaccare tutto' come direbbe qualcuno. 

Alla vittoria contro il Cagliari, arrivata dopo trentacinque minuti di svantaggio arriva un'altra clamorosamente sofferta vittoria contro il Napoli di Gattuso, che al netto di ogni benevolenza per gli uomini di Conte, avrebbe meritato qualcosina in più dei padroni di casa che con straordinaria eccezionalità del caso incarnano per la prima volta in stagione l'antitesi di sé stessi. In che senso? Nel senso più letterale del termine: l'Inter vince su rigore (sacro santo), in superiorità numerica per un'incredibile immatura ingenuità commessa (stranamente) dall'avversario (e non da se stessi), con un esemplare e (dopo tante prove grigie, a tratti più scuri che lucenti) di Samir Handanovic e con una gran bella dose di fortuna, questa per lo più sconosciuta da queste parti. Ma per citare lo stesso Handanovic, così è: "Siamo stati noi a sfruttare l'episodio e l'abbiamo spuntata. Ci godiamo questi tre punti" e chi s'è visto, s'è visto. A differenza del mercoledì precedente, questa volta a San Siro è incredibilmente girato tutto bene e a favore. 

E tutto cià che c'era da dire è stato effettivamente detto immediatamente dopo la gara, quando pure Conte ha ammesso quanto brutta sia stata la gara... Tatticamente, intendeva. Brutta e basta, aggiungeremmo noi. Ma tant'è e tanti sono i tre punti portati in saccoccia, quei tre punti che hanno permesso il -1 dal Milan, la bella Cinderella magnetica che oggi sembra avviarsi ai rintocchi della mezzanotte con l'effetto magico della fata madrina che comincia a svanire. Nulla da togliere alla squadra di Pioli, finora in grado di fare qualcosa di inimmaginabile ai pronostici come lo stesso tecnico ha umilmente ammesso. Qualcosa da applaudire e al quale senza dubbio rendere ogni merito, ma che dopo l'ennesimo infortunio di Ibra inizia a perdere quell'aura magica che finora sembrava conferirle l'imbattibilità. Lo stop di Ibra che lo costringerà ad almeno un mese di forfait, l'infortunio di Mertens a inizio gara a San Siro, come tutti gli altri infortuni che stanno affliggendo la nostra Serie A (Inter compresa) rendono giustizia a quel "questa è un'annata strana e particolare" ripetuto alla nausea da ancor prima che la stagione iniziasse. Per dirla alla Mourinho gli infortuni ci sono ovunque, e questo di certo non può mai essere un piacere né consolazione (il male altrui non può mai consolare per quanto di un rivale temibile), ma è senza dubbio la triste normalizzazione di questa orribile strana annata, straziata da ritmi serrati e stremanti. 

A normalizzarsi è di conseguenza anche la classifica, che nel lungo periodo potrebbe pure rendere a Cesare quel che è di Cesare. Certo, tutto fuorché l'Europa, scivolata dalle mani in maniera irreversibile ma rimuginarci sopra non ha più senso, al contrario però ha senso tentare di andare avanti, cercando quella partita della vita che fa da contraltare all'inimmaginabile passaggio a vuoto fatto con lo Shakhtar. In ogni allenamento che si rispetti il recupero è talvolta più importante dell'allenamento stesso, e tanto vale ripartire da zero, esattamente come la strategia comunicativa di Conte ieri: perché a volte tacere è senza dubbio meglio di parlare senza avere nulla da dire (se non sul campo). E allora nulla da dire. Solo da giocare. 

Sezione: Editoriale / Data: Dom 20 dicembre 2020 alle 00:00
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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