Sabato 17 novembre mio figlio Filippo compira' 7 anni.  L'organizzazione dell'evento, ai miei tempi modulato secondo modalita' e stilemi assai piu' asciutti, ci impegna da un po'. La torta, caposaldo di questo genere di festeggiamento che travalica abitudini e generazioni, l'abbiamo ordinata proprio qualche giorno fa in una pasticceria industriale della cintura nord di Milano, referenziata ed attrezzatissima in tema di orpelli distintivi e personalizzazioni. Il virgulto che porta il mio stesso cognome, sara' un caso, ma e' gia' titolare di una forma di affettivita' molto intensa verso i colori di una squadra, quella giusta, di cui indossa appena gli e' concesso una delle diverse magliette che ha in dotazione. Ha richiesto, circondato da una mini turba vociante di avventori tra i quali qualcuno mi aveva riconosciuto, che sopra i 10 kg di dolcezza e marzapane fosse impresso il marchio "Io sono interista". Non nego che la cosa abbia alimentato nel sottoscritto un piacere peraltro ben dissimulato, ma il chiacchericcio  per quanto sommesso di un paio di individui intonato ad un chiaro dissenso/dileggio per una scelta cosi' spontanea e giocosa di un bambino, mi e' suonato come qualcosa, si da compatire, ma profondamente indicativo sulla differenza antropologica tra noi e loro.

Loro nel caso di specie, l'ho capito, erano giuvendini, probabilmente sussurravano contro di me, ma se la stavano prendendo di fatto con lui. Quel breve frangente racchiudeva ai miei occhi l'intolleranza, la difficolta' accecata a percepire natura e senso delle situazioni, il professare la propria fede senza passare dal via- come nel Monopoli- della qualita' dello spirito, in aperto spregio di quel buon senso comune che ricorda a tutti che, in fondo, cosi' facendo, si finisce per chiedere troppo ad una semplice palla che rotola. Mio figlio non si e' ovviamente accorto di nulla, mia moglie sì, e tanto le e' bastato per acuirne l'insofferenza verso un mondo che, dal suo lontano sdegnoso, vede con quei contorni che in ultima analisi tengono sempre piu' distanti dagli stadi i "tifosi non professionali". Per tutti costoro, temo, lo spettacolo che offrira' lo Juventus Stadium stasere suonera' come una conferma fragorosa. Li hanno convinti, i nostri avversari occasionali, non solo che hanno subito ingiustizie e sottrazioni indebite ma che queste stesse presunte vicissitudini angariose hanno la stessa matrice: le abbiamo ordinate noi (come la torta di compleanno da cui siamo partiti). Nel tempo si sono sempre piu' sfumate le differenze tra le tesi dei vari vocalist di parte distribuiti tra redazioni, schermi televisi e centri di diffusione assortiti e gli slogan dei tifosi bianconeri in un coagulo, sincopato e compulsivo, di falsita' e banalita' incancrenite ed elevate cosi' a canovaccio e a luoghi comuni.

L'apoteosi l'aspettiamo come detto stasera. Nell'auspicio ovvio che il clima incandescente ed ostile ampiamente prospettatoci non mini il regolare svolgimento della partita, noi saremo superiori a tutto questo. Anche, per inciso, nell'incredulita' di fronte ad una designazione inopportuna. Faremo fino in fondo in termini di responsabilita' quanto dobbiamo a noi stessi, alla storia che ci segue, con orgoglio. Noi che veniamo da lontano e che possiamo fregiarci di una bandiera su cui in filigrana si puo' vedere rifulgere l'immagine di Giacinto Facchetti, e non di qualche faccendiere senza scrupoli, metteremo in campo il nostro mondo nella consapevolezza che la trasferta di Torino nasconde insidie rilevanti anche di carattere tecnico-a differenza di quanto fanno loro non disconosciamo affatto il valore dell'avversario-. E non e' un caso che dalla societa' e dal mister giungano messaggi di una positivita' tout court con sullo sfondo innanzitutto la tutela e la continuita' di quell'atmosfera di fiducia nel progetto che pervade l'ambiente, qualsiasi sara' il risultato al termine della partita. Quel mondo che e' un modo di essere, di partecipare, di vincere ma anche di perdere che in fondo e' la loro vera paura, il complesso d'inferiorita' che li irrigidisce allo stadio come in una pasticceria. Secondo Jose' Mourinho il Barcellona visse lo scontro di due anni e mezzo fa come un'ossessione, secondo una modalita' fanatizzata e insana contrapposta al nostro gusto di giocarci una partita diversa ma in fondo come tante altre, al centro della quale c'eravamo noi con Giacinto e il nostro capitano a guidarci, tante speranze e nient' altro, Nella posata dimestichezza con i rapporti umani e la relativa tranquillita' nell'avvicinamento alla partita del nostro giovane allenatore risiede poi la certezza che l'Inter arrivera' con la giusta temperatura agonistica all'appuntamento di stasera come nelle notti magiche di quella semifinale europea. Saremo protagonisti, di questo siamo assolutamente certi, stasera e lungo tutto la stagione, poiche' la strada e' comunque quella giusta.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 03 novembre 2012 alle 00:00
Autore: Giorgio Ravaioli / Twitter: @Gravaioli
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