Come una truppa ferita e logorata, col morale a pezzi e quasi pronta alla ritirata, che al risveglio scopre, con una certa sorpresa, di aver perso sì la battaglia ma di aver perso, in realtà, molto meno terreno del previsto rispetto al fortino da conquistare. E' che la guerra la si può ancora vincere, nella battaglia finale. E' un autentico regalo quello fatto da Walter Zenga all'Inter che si è addormentata al sabato sera in un letto di lacrime per una Champions quasi sfuggita e si è poi ritrovata, dopo poche ore, a fare i conti con un destino benevolo. Quello, appunto, offerto da un vero soldato nerazzurro che però non esulta affatto. Il 2-2 tra Lazio e Crotone, infatti, fa gioire solo i nerazzurri mentre, al momento, non consentirebbe ai calabresi di rimanere in A. Per questo l'Uomo Ragno, a cui tutti gli interisti si erano aggrappati nelle ultime ore, non sorride nemmeno un po' e, a dire il vero, poco e niente penserà al favore fatto. Anche se la sua storia e il suo amore ne fanno un soldato dell'Inter, un riservista, quelli che mantengono un legame che in pensione non va mai. E' il destino, che a volte ha molta fantasia. E ora tocca alla truppa di Spalletti rendere forte il proprio. Perché dopo i tre punti lasciati sul campo contro il Sassuolo e qualche ora di psicodramma, i nerazzurri tornano a un successo dall'obbiettivo.

E sarà un filo sottilissimo a separare la gloria dal fallimento, il trionfo dalle lacrime. Sarà un filo sottilissimo a scrivere il futuro: non serve, infatti, spiegare quanta differenza faccia approdare o meno alla fase a gironi della più prestigiosa rassegna continentale in termini di guadagno economico, prestigio e, non da ultimo, appeal sul mercato. E' crudele, del resto così sono le finali e quella dell'Olimpico lo sarà a tutti gli effetti con un solo risultato utile: la vittoria. E sarà l'ultima grande occasione per riscattare la sconfitta che per un po' ha avuto il sapore della resa e soprattutto per non allungare la lista dei rimpianti, lunga come tante, troppe, partite di campionato, non vinte perché alla squadra manca sempre quel qualcosa, quel guizzo, quella ferocia, quelle alternative in panchina, quella capacità, insomma, di far girare quelle gare che nascono dannate e che possono essere catalogate come assurde, inspiegabili. Come quella col Sassuolo, o quella col Torino. Per non parlare dei punti persi contro le medio-piccole nel periodo di buio totale durato da dicembre a febbraio inoltrato. Ma tutto questo, appartiene, appunto, alla voce rimpianti e per quelli non c'è spazio ora che in vista c'è la finale.

Il soldato Walter alla fine il regalo voleva farlo a se stesso e ai ragazzi con cui lotta per rimanere in A e ha finito per farlo, forse, al campionato oltre che all'Inter. Dopo tante occasioni sciupate Spalletti e Inzaghi si ritroveranno faccia a faccia sul ring. Il più forte vincerà. Vincerà il più fortunato, il più lucido, il più concreto nei dettagli. E proprio dopo il 2-2 di Crotone il tecnico biancoceleste ha detto: "Forse era destino giocarsi tutto all'Olimpico". Un destino, come detto, pieno di fantasia che metterà a dura prova cuori dei tifosi, gambe dei giocatori, mosse degli allenatori. E scenari futuri dei club. Con l'Inter eternamente sospesa tra il disastro e una sospirata rinascita che passerà per 90 minuti di fuoco durante i quali la testa farà la differenza più del cuore, specie in una squadra disabituata, da anni, a giocare partite decisive, vitali. Le finali, per inciso. Semplicemente perché si scioglieva prima, con i primi tiepidi venti di febbraio o marzo. Ora che Spalletti è uscito dall'inverno della crisi con un gruppo che, nelle ultime settimane, ha espresso un calcio reattivo tanto da rendere significativa un'ultima di campionato che gli interisti erano abituati a vivere come semplice passerella di saluti prima delle vacanze, servirà meno nervosismo e frenesia rispetto al sabato sera di San Siro: più lucidità, più cattiveria per l'occasione che l'Inter aspetta da sei anni e che determinerà, nel bene o nel male, il futuro. Con una proprietà che, una volta approdata in Champions, non potrebbe più "bluffare" ma si vedrebbe costretta a calare le carte al tavolo del mercato, delle ambizioni e delle intenzioni. L'Inter resta una squadra con alcune fragilità che compaiono in certi momenti e vengono meglio mascherate in altri, è legata al rendimento di alcuni uomini-chiave che non hanno sostituti ma fondamentalmente ha di base un progetto tecnico che sarebbe un peccato non veder proseguire e migliorare (e terminare una stagione fallendo l'obiettivo esporrebbe, si sa, all'invocazione popolare della rivoluzione, l'ennesima, del cambiamento, del rinnovamento). Ed è arrivata a giocarsi il tutto per tutto grazie a un destino benevolo che ha ha riaperto una porta chiusa e che ora deve essere reso forte: uomini forti per destini forti, lo disse proprio Spalletti, poco tempo fa. Tutto è nelle loro mani ora, contro una squadra sfiancata dalle 55 gare stagionali (contro le 38 dei nerazzurri) e da alcuni giocatori non al meglio. Per questo il passo deve essere fatto ora, rimandarlo significherebbe quasi ripartire da zero, con mille rimpianti e qualche addio. E non potrebbe avere un nome diverso da quello di fallimento. Ma non è ora il tempo di pensarci: ora è il tempo di costruirsi il destino che un soldato mai domo ha rimesso in gioco.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 14 maggio 2018 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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