Premessa doverosa: il video hero rilasciato alle 23 di domenica sera da Inter Media House per annunciare l'arrivo di Edin Dzeko è spettacolare. Negli anni non sono mancate le perle creative del reparto comunicazione nerazzurro, però stavolta bisogna ammettere che l'asticella si è alzata. Anche perché è un progetto che parte da lontano, non è certo nato negli ultimi giorni. 'Merito' di Edin, che anche nell'estate 2019, su esplicita richiesta di Antonio Conte, sembrava ormai destinato a traslocare da Roma a Milano per poi cambiare idea e rinnovare per i giallorossi. Settimane di limbo tra le capitali d'Italia che hanno acceso la scintilla creativa, dando vita a un'idea sviluppata poi dalla mano sensibile e dalla fantasia di French Carlomagno (subito a regalargli un follow, se lo merita). Un progetto rimasto in cantiere come chissà quante opere d'arte destinate a rimanere incompiute e sotto un velo, per poi essere distribuito dopo l'annuncio ufficiale dell'arrivo del bosniaco. Con tanto di social teaser che preannunciava, tre ore prima e ogni 60 minuti, qualcosa da non perdere. Bravi tutti, brava IMH.
E bravo anche Edin Dzeko, che è riuscito nell'impresa di segnare un gol per l'Inter senza essere ancora ufficialmente un giocatore dell'Inter. Lancio perfetto di Nicolò Barella (un altro che sta aumentando i giri del motore), tocco sull'uscita del portiere della Dinamo Kiev e pallone depositato nella porta ormai vuota. In più tanto movimento, giro palla, difesa del pallone e colpi di tacco. Quarantacinque minuti di repertorio per un calciatore che in Italia, nella Roma, ha sempre fatto la differenza, pur con qualche inevitabile pausa. E che a 35 anni, con uno solo di contratto rimasto, ha chiesto e stavolta ottenuto di accettare la chiamata nerazzurra. Forse con un paio di anni di ritardo, chissà come sarebbe andata con lui al posto dello sfortunato Alexis Sanchez, troppo a lungo out per questioni fisiche. Già, chissà. Forse Conte avrebbe tolto minuti a Lautaro Martinez e della LuLa non ci sarebbe stata mai traccia. Una LuLa che si è autodistrutta con la scelta di Lukaku di portarsi via la propria metà e che, pur con un cognome che sconsiglia crasi creative, Dzeko proverà a ricostruire.
Qualcuno ha storto il naso, dopotutto 35 primavere non sono poche e lo stipendio è da top, almeno per l'Italia. Però prima di saltare a frettolose conclusioni, bisogna valutare anche il motivo della scelta dell'Inter: il bosniaco per caratteristiche risente fino a un certo punto dell'età: fisico, senso tattico e intelligenza calcistica sopra la media sopperiscono e non poco a una resistenza non più da giovanotto. In più, Dzeko ha una dote che pochi attaccanti possono vantare: fanno giocare bene la squadra. Una gioia per qualsiasi allenatore, figurarsi per Simone Inzaghi che finora se l'era trovato, spesso decisivo, contro nei derby. Edin non sarà più un bomber da classifica dei marcatori, però con lui in campo tutti i compagni possono diventare protagonisti. E il pensiero va subito a Lautaro, rimasto un po' all'ombra di Lukaku ma chiamato, adesso, a uscire definitivamente dal bozzolo e diventare farfalla. Meglio se dopo il rinnovo, perché le farfalle poi tendono a volare lontano da casa.
Per le sopra citate ragioni bisogna avere fiducia nel presente di Dzeko, che ha due anni per farsi amare anche dai tifosi nerazzurri proprio come accaduto con quelli giallorossi, che fino all'ultimo hanno cercato di convincerlo a rimanere. Un professionista esemplare (l'outfit al momento della firma è da manager d'azienda), un uomo squadra, un leader silenzioso in grado di gestire il suo fisico e continuare a incidere anche a 35 anni. Questo è il suo biglietto da visita, queste sono le aspettative di chi l'ha voluto fortemente a Milano negli ultimi due anni. Il canto del cigno è ancora lontano.
E bravo anche Edin Dzeko, che è riuscito nell'impresa di segnare un gol per l'Inter senza essere ancora ufficialmente un giocatore dell'Inter. Lancio perfetto di Nicolò Barella (un altro che sta aumentando i giri del motore), tocco sull'uscita del portiere della Dinamo Kiev e pallone depositato nella porta ormai vuota. In più tanto movimento, giro palla, difesa del pallone e colpi di tacco. Quarantacinque minuti di repertorio per un calciatore che in Italia, nella Roma, ha sempre fatto la differenza, pur con qualche inevitabile pausa. E che a 35 anni, con uno solo di contratto rimasto, ha chiesto e stavolta ottenuto di accettare la chiamata nerazzurra. Forse con un paio di anni di ritardo, chissà come sarebbe andata con lui al posto dello sfortunato Alexis Sanchez, troppo a lungo out per questioni fisiche. Già, chissà. Forse Conte avrebbe tolto minuti a Lautaro Martinez e della LuLa non ci sarebbe stata mai traccia. Una LuLa che si è autodistrutta con la scelta di Lukaku di portarsi via la propria metà e che, pur con un cognome che sconsiglia crasi creative, Dzeko proverà a ricostruire.
Qualcuno ha storto il naso, dopotutto 35 primavere non sono poche e lo stipendio è da top, almeno per l'Italia. Però prima di saltare a frettolose conclusioni, bisogna valutare anche il motivo della scelta dell'Inter: il bosniaco per caratteristiche risente fino a un certo punto dell'età: fisico, senso tattico e intelligenza calcistica sopra la media sopperiscono e non poco a una resistenza non più da giovanotto. In più, Dzeko ha una dote che pochi attaccanti possono vantare: fanno giocare bene la squadra. Una gioia per qualsiasi allenatore, figurarsi per Simone Inzaghi che finora se l'era trovato, spesso decisivo, contro nei derby. Edin non sarà più un bomber da classifica dei marcatori, però con lui in campo tutti i compagni possono diventare protagonisti. E il pensiero va subito a Lautaro, rimasto un po' all'ombra di Lukaku ma chiamato, adesso, a uscire definitivamente dal bozzolo e diventare farfalla. Meglio se dopo il rinnovo, perché le farfalle poi tendono a volare lontano da casa.
Per le sopra citate ragioni bisogna avere fiducia nel presente di Dzeko, che ha due anni per farsi amare anche dai tifosi nerazzurri proprio come accaduto con quelli giallorossi, che fino all'ultimo hanno cercato di convincerlo a rimanere. Un professionista esemplare (l'outfit al momento della firma è da manager d'azienda), un uomo squadra, un leader silenzioso in grado di gestire il suo fisico e continuare a incidere anche a 35 anni. Questo è il suo biglietto da visita, queste sono le aspettative di chi l'ha voluto fortemente a Milano negli ultimi due anni. Il canto del cigno è ancora lontano.
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