E sono 11. Undici i punti di vantaggio che, con la vittoria sul Cagliari, l’Inter mantiene sul Milan e undici sono anche le vittorie consecutive della squadra di Conte, che non mostra il minimo segno di cedimento, la minima intenzione di rallentare, rilassarsi, accontentarsi. Undici sono anche i titolari che nel corso delle ultime settimane l’allenatore nerazzurro ha trovato, andando a dare forma alla sua squadra ideale che ha risposto a suon di numeri da record, successi e un primo posto in classifica cementato giorno dopo giorno.
Ma a questi undici titolarissimi lo stesso Conte sa, di tanto in tanto e sapientemente, aggiungerne altri a seconda del momento, dell’avversario e delle assenze: altrettanti giocatori che meriterebbero la definizione di titolari per professionalità, applicazione e capacità di essere decisivi. Giocatori che come Sanchez a Parma, Ranocchia a Bologna, Young nelle ultime tre partite, Sensi e Darmian col Cagliari entrano e dimostrano di saper essere precisi, sul pezzo e persino qualcosa in più. Darmian ad esempio, che col Sassuolo era stato usato nella linea di difesa a 3 al posto di Bastoni, ci ha aggiunto contro i sardi oltre alla solita applicazione e precisione a destra come a sinistra, un gol che vale una bella fetta di titolo e che rappresenta idealmente lo spirito e il gruppo creato dall’allenatore.
L’Inter che da tempo ha trovato il suo 11 titolare è anche l’Inter che sa valorizzare e farsi valorizzare da chi entra dalla panchina: si veda, a ulteriore conferma di questo, l’ingresso di Lautaro (uno dei titolarissimi a cui era stato concesso di rifiatare) contro il Cagliari nel secondo tempo con un paio di ripiegamenti e chiusure difensive che danno la misura di un attaccante totale ma anche di un ragazzo che vuole lasciare sempre il sudore sulla maglia e sa mettersi al servizio della squadra, non solo quando c’è da segnare o prendersi la gloria ma anche quando serve sacrificarsi e aiutare. Un discorso simile vale per Hakimi e la sua giocata decisiva, con tanto di bacio ricevuto da Conte durante l'esultanza, sul gol di Darmian, che spiega meglio di qualsiasi di discorso la capacità di entrare ed essere decisivo nella parte finale dell’ennesima partita complicata di cui, però, ancora una volta e in qualche modo, l’Inter ha saputo trovare le chiavi.
Perché quella di San Siro è stata una gara che ancora una volta gli “esteti” fini a se stessi del calcio giudicheranno come solo sofferta e faticosa: e di certo lo è stata, come le partite contro squadre che hanno un disperato bisogno di punti per salvarsi sanno e devono essere. Ma poi è stata anche la sesta vittoria consecutiva con un solo gol di scarto, segno che la squadra sa metterci attenzione e concentrazione fino all’ultimo secondo, ed è stata una gara senza aver incassato reti (l’Inter arriva così ad aver subito solo 4 gol nelle ultime 13 partite).
I sardi sono stati a lungo chiusi e compatti e contro questo genere di avversario da sempre l’Inter fatica di più di quando invece può correre in campo aperto. Ma ha saputo avere pazienza e cercare soluzioni nelle giocate di qualità di Sensi ed Eriksen (non a caso i più pericolosi nel primo tempo), ha chiesto e cercato i tagli e gli inserimenti degli esterni e concesso all’avversario (che è uscito dal suo guscio alla disperata negli ultimi dieci minuti) una bordata centrale di Nainggolan come unica occasione in 90 minuti. E quella sofferenza finale che non è mancata è stata più la conseguenza di palloni buttati in area tipo preghiera che altro, preghiere poi recitate dalla maggior parte degli interisti abituati, nei secoli dei secoli, ad aspettarsi che la beffa sia sempre dietro l’angolo.
Ma questa Inter più la attacchi e più la metti a suo agio: anzi, in certi momenti della partita sembra quasi di scegliere di farsi attaccare per far esplodere la sua graniticità. Perché questa Inter di farsi beffare non ne ha alcuna intenzione. E agli esteti del calcio risponde con i numeri: questa Inter è la squadra di Serie A che effettua il maggior numero di passaggi nelle azioni che si concludono con un gol: vuol dire che ogni azione in cui segna l’Inter ha in mente una costruzione ben precisa, che il gol lo va a cercare, orchestrare e ricamare, anche con pazienza, proprio come successo contro il Cagliari con il pallone mosso da sinistra destra fino alla “boa” offerta da Lukaku per il taglio in area di Hakimi in favore dell’inserimento dell’altro esterno, Darmian, in un coast to coast dal profumo tricolore.
Ma l’Inter, secondo alcuni non era quella squadra brutta che gioca male e solo in contropiede? Pare di no, perché nel calcio ha ragione, da sempre, chi segna, chi subisce poco e chi vince. I record valgono fino a un certo punto ma quando inizi a realizzarne vuol dire che sei sulla strada giusta. Ad esempio l’Inter è la prima squadra di Serie A capace di vincere tutte le prime 11 partite del girone di ritorno superando il Milan di Sacchi della stagione 1989/90. Per gli esteti del calcio, o detrattori di Conte, o detrattori di Marotta, o detrattori dell’Inter in generale non basterà. All’Inter, a Conte, a Marotta, ai suoi giocatori e ai suoi tifosi, basta e avanza per fare un altro bel decisivo passo verso il suo obiettivo, che poi si scrive e si pronuncia scudetto. Che per come stanno le cose, mostra ogni giorno in più di meritare grazie al lavoro, al sacrificio e alla dedizione totale di cui Darmian, l’ultimo eroe in ordine di tempo, è immagine perfetta. E il bello del calcio, come di un bacio, sta nelle cose semplici, vere e concrete che portano al risultato finale.
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