Clima fastidioso, pioggia di marzo, poca voglia di parlare. E sorriso di circostanza, perché è Pasqua e non si nega a nessuno. Ma avvolto nel suo cappotto, Massimo Moratti ha lasciato San Siro ancora amareggiato per l'ennesima sconfitta. Se poi arriva con la Juventus è ancora peggio. Perché è stata una "buona Inter", d'accordo. E perché ormai avere un rigore sembra come pretendere ostriche fresche a Madonna di Campiglio. Pazienza se Cassano viene assassinato nel cuore dell'area. Il presidente sa che c'è anche questo fattore, ormai tutti gli interisti ci hanno fatto (ingiustamente e tristemente) l'abitudine. Ma ci sono anche da analizzare gli aspetti di una squadra che ha fatto vedere qualcosa di buono, sicuramente, non però al punto da convincere fino in fondo. "C'è stato il solito primo tempo regalato", ha sottolineato Moratti. Eccolo, il primo motivo da sottolineare in rosso sulla lista delle cose che non vanno.
Questi primi tempi consegnati all'avversario stanno diventando una pericolosa variabile per Stramaccioni, da correggere al più presto. Moratti non manca mai di sottolinearla, ormai il fattore è palese. Uno dei tanti che rendono ancora in bilico la posizione dell'allenatore per giugno: la stima presidenziale e della società esiste, ma la panchina dell'Inter 2013/2014 un padrone non ce l'ha ancora. E se Moratti è arrabbiato per questo fattore primo tempo, c'è anche il mercato a completare il collage. Perché? Beh, basta guardare la classifica. Bisogna dotarsi di un buon binocolo per vedere la zona Champions League, ormai in pugno a chi vince domenica dopo domenica. Non come l'Inter, condannata dai numeri: cinque vittorie nelle ultime quindici partite, non è un Pesce d'Aprile. Ma è una media da brividi. Per questo Stramaccioni non è per niente certo del suo posto il prossimo anno, come vi raccontiamo da settimane. Deciderà il presidente e non l'ha ancora fatto. Di certo, adesso non è soddisfatto. Ma il discorso del mercato si ricollega naturalmente a quanto appena detto sulla Champions League.
Moratti è una persona tendenzialmente serena. E quando nelle settimane scorse ha sottolineato l'importanza di arrivare nell'Europa che conta, tutto è passato un po' troppo sotto silenzio: "La Champions è una necessità assoluta, non si può fallire", diceva a FcInterNews. E poi rincarava la dose nel giorno del compleanno dell'Inter con i primi tuoni seguiti alle nuvole addensate sulla classifica dell'Inter: "La Champions è troppo importante, mi sembra di esser stato abbastanza chiaro...", diceva il presidente. Sorridendo. Ma era un sorriso che nascondeva la paura di non farcela e la certezza di tanti provvedimenti qualora si dovesse fallire l'obiettivo per due anni di fila, con un danno economico da quasi 100 milioni di euro tra base fissa di incassi e premi. Per questo, la furia è sì sul campo per quei famosi primi tempi e per un'Inter che raramente brilla; ma anche sul mercato, perché con la musichetta della Champions che si sente solo in lontananza si è dovuto congelare un discorso progettuale già avviato.
Ricordate quando Stramaccioni tra dicembre e gennaio diceva "lavoriamo per una grande Inter dal prossimo anno"? Si riferiva a nomi importanti. Da Sanchez a Dzeko e via discorrendo, primi contatti già avviati sotto Natale. Quasi tutti a una condizione: la Champions, appunto. Adesso la situazione è degenerata. E per arrivare a competere per la Coppa dalle grandi orecchie serve un vero e proprio miracolo. Crederci ancora è lecito, ci mancherebbe, ma è naturale che sul fronte acquisti (oltre ai già presi Icardi, Laxalt, Botta, Campagnaro e Andreolli) di un certo spessore - di quelli per cui si deve lavorare sottotraccia per settimane - tutto sia stato leggermente frenato. Normale il non gradimento di Moratti e dei suoi collaboratori, non solo per il discorso campo ma anche per il discorso mercato. E per un ultimo punto: la condizione fisica. D'accordo gli infortuni come quello di Milito, imprevedibile; ma tanti altri non possono essere utilizzati come giustificazioni, ma solo aggravanti per come sono arrivati. Anche nella preparazione, quindi, c'è qualcosa che non va. E se i tuoni erano arrivati nelle scorse settimane, con la Champions che si allontana adesso la tempesta si avvicina. Per tutti.
Aprire gli ombrelli non basta. Un finale dignitoso potrebbe seriamente non bastare ad Andrea Stramaccioni e a tanti altri. Sacrosanto tentare l'impresa, per sé e per chi è già messo sotto esame direttamente dal presidente, come può essere Marco Branca, altri dirigenti che non hanno convinto (Piero Ausilio si salva) o componenti dello staff atletico, già cambiato diverse volte negli ultimi anni. Ma da maggio, senza Champions, in tanti potrebbero dover fare le valigie. E alcune teste sono già praticamente saltate. Quelle dei giocatori che proprio Moratti aveva definito "non da Inter", senza fare nomi. Ma c'è chi come Ricardo Alvarez (doveva essere ceduto già a gennaio, ma zero offerte serie se non dall'Argentina dove non voleva rientrare), Matias Silvestre, Jonathan o Tommaso Rocchi sa già che l'avventura in nerazzurro è da considerarsi sostanzialmente finita. Senza Champions, appunto, i giocatori potrebbero essere non gli unici a pagare il conto salatissimo emesso da Corso Vittorio Emanuele, sede dell'Inter. Dove la tempesta si avvicina e se non verrà evitata potrebbe cambiare tutto. Deciderà il presidente Moratti, già in fase di fermento. Perché la voglia di parlare è poca e la voglia di vedere un'Inter diversa è tanta. Li sentite, i tuoni? Sono quelli che arrivano su una squadra che ha fatto zero punti su sei contro il Siena o ha perso in casa col Bologna. Purtroppo, non è un Pesce d'Aprile.
Autore: Fabrizio Romano / Twitter: @FabRomano21
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