Poteva essere e non è stato. La premessa, però, è doverosa: essere a +1 o a -1 dalla Juve a fine ottobre, per l'Inter, cambia poco o nulla e soprattutto non sposta equilibri in base ai quali si potrebbe pensare che la vera occasione sprecata, col pareggio contro il Parma, sia stata semmai quella di allungare su Napoli, Atalanta, Roma e Lazio. La Juve resta l'unica rivale di se stessa e la vera cosa che l'Inter può e deve fare è starle col fiato sul collo.

Per questo, la mancata vittoria di sabato suona comunque come occasione persa. L'occasione era quella di dimostrare ai bianconeri che se sbagliano, c'è qualcuno alle loro spalle che presenta il conto, che gli fa sudare il primo posto, che è pronto ad approfittare di ogni minimo spiraglio. Che è pronto a tenere vivo un campionato, in sostanza. Non, è bene ribadirlo, per una vera lotta scudetto, ma per una sensazione concreta di competitività che da troppo tempo manca. Battere questo Parma, che aveva più giocatori indisponibili che giocatori in panchina, pur per una squadra stanca e spremuta, era alla portata se non si fosse regalato agli avversari il primo tempo, giustamente definito da Conte il più brutto della sua gestione.

I primi 30 minuti contro il Parma sono sembrati gli ultimi 30 col Sassuolo: attaccanti che faticano a giocare di sponda, incapacità di tenere palla e far salire la squadra, una squadra non compatta e quasi distratta, lenta e poco cattiva e aggressiva. E che ancora ha dimostrato fragilità davanti alla propria area di rigore dove i mediani non arretrano, i difensori non escono e gli avversari sbucano tra le linee finendo per presentarsi al tiro con sorprendenti facilità. Se poi regali il pallone del pareggio e ti fai saltare come un esordiente dando il via al contropiede che ha portato all'1-2, ecco che la serata diventa complicata. E frenetica.

Perché poi la ripresa, fatta sì con lo spirito giusto schiacciando la squadra di D'Aversa nella sua area, ha presentato il conto sotto forma di ansia da prestazione e da recupero. Chiedere a Politano per maggiori dettagli. Tanta voglia di spaccare il mondo, molta meno lucidità e cinismo. Così un po' tutta l'Inter, tra l'altro oppressa dalle fatiche di Champions (si veda Brozovic, nella sua peggior edizione stagionale). Un Lukaku in crescita (che con tutte le critiche che si carica sulle spalle nel frattempo ha messo insieme i numeri che aveva Milito nel 2009) e un Candreva man of the match non sono bastati a risolvere i problemi che i primi 45 minuti avevano creato perché l'Inter un tempo a vuoto non se lo può (ancora) permettere.

E' stata poi quella classica partita dove si nota l'assenza del fuoriclasse assoluto, di colui che risolve i problemi con una punizione, una giocata, un'invenzione dal nulla. La conferma di come l'Inter debba sempre andare al massimo e lasciare l'anima sul prato per vincere le partite. Non lo sa ancora fare col minimo sforzo e forse non è pensata per questo. Proprio per l'assenza del fuoriclasse di categoria superiore che ti porta i punti che alla lunga nell'arco del campionato fanno una gran differenza. L'inter i punti, fino ad ora, li ha sempre guadagnati con lo sforzo (enorme e dispendioso) e il merito del collettivo.

Ma, fortunatamente, il calendario non offre nemmeno il tempo per le recriminazioni: arrivano Brescia e Bologna, sette giorni buoni per prove, conferme, smentite. Le assenze contemporanee di Sanchez, Sensi, Vecino e D'Ambrosio sono più di una buona scusa per una squadra già non abbondante di suo. I calcoli, però, non servono all'Inter di Conte che deve principalmente ritrovare ritmo, fiducia e coraggio. Perché se un'occasione è stata persa, molte altre la stagione ne ripresenterà.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 28 ottobre 2019 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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