Dati sfavoriti in partenza, giudicati fuori dalla lotta scudetto da tempo, con giocatori ormai bolliti e con un modulo, il 4-4-2, fin troppo prevedibile e scontato. L’Inter ha preparato il suo derby così: da sfavorita, da squadra che pagava lo ‘smacco’ di quelle settimane vissute in fondo alla classifica, ormai non più all’altezza e uscita dal cerchio delle grandi, da gruppo che in caso di sconfitta sarebbe precipitato di nuovo. Partire con queste premesse non aiuta di certo a preparare un derby, soprattutto quando si è a meno 8 dalla prima. Ranieri lo sa bene e decide di vivere una vigilia dal basso profilo: lavoro e concentrazione sono le prerogative. Poche le parole, nessuna dichiarazione clamorosa, nessuna risposta agli inni di supremazia che arrivavano dall’altra squadra di Milano. L’Inter prepara così il suo derby e lo gioca con lo stesso atteggiamento: aspetta il Milan, si affida alle ripartenze, difende in modo ordinato, argina Ibrahimovic e lotta su ogni pallone. Tuttavia la partita rimane difficile e in bilico: poco il gioco, il Milan fa possesso palla, l’Inter si vede annullare un gol (ingiustamente ma la cosa non stupisce) e poi trema insieme alla traversa colpita da Van Bommel, proprio allo scadere del primo tempo. Nella ripresa la trama della partita non cambia, il Milan inizia subito forte e l’Inter aspetta, ma solo dopo 9 minuti ci pensa il Principe a spezzare l’equilibrio della gara: dopo una cavalcata del solito e immenso Zanetti, sfrutta un errore di Abate che non aggancia il pallone e batte Abbiati con una rasoiata di sinistro.
Diego Alberto Milito ha appena segnato un gol ‘dei suoi’, da campione vero: il suo urlo è incontenibile e San Siro esplode con lui. In quell’urlo si racchiude tutto: c’è gioia, c’è soddisfazione ma c’è anche e soprattutto riscatto. Diego Milito segna un gol decisivo proprio nel derby, la partita più importante in assoluto, e urla in faccia a chi in questi mesi l’ha liquidato troppo in fretta e senza riconoscenza. Molti, in buona parte interisti (ahimè), l’hanno giudicato come un giocatore finito, bollito, inutile, da vendere, che dovrebbe ritirarsi per amor proprio ed è stato anche 'incoronato' come "Bidone d’Oro 2011". Sappiamo tutti la sua storia: al primo anno all’Inter segna 30 gol in 52 gare e sigla il Triplete compiendo qualcosa di eccezionale e irripetibile. Eppure è bastato l’anno appena concluso, vissuto comprensibilmente a un livello inferiore e soprattutto segnato da molti infortuni (e tanta sfortuna aggiungiamo) per farlo scivolare nella lista dei giocatori scarsi e senza speranze. Anche ieri sera, durante l’intervallo, si potevano leggere gli umori di alcuni tifosi sul web e c’era chi, oltre alle critiche, chiedeva la sua cessione immediata, c’era chi lo voleva lontano da Milano. Beh, Diego Milito ha soprattutto urlato in faccia a loro: a coloro che predicano un calcio migliore, fatto di riconoscenza e gratitudine verso la maglia, che poi si rivelano i primi a sputare sentenze contro giocatori come lui, che a 32 anni hanno già dimostrato tutto.
Storia strana quella del Principe: osannato ma poi condannato al primo errore, innalzato tra i grandi campioni ma poi costretto a ripartire da zero, intoccabile ma subito dopo messo in discussione. In una stessa notte, quella di Madrid, passò dall’essere un eroe all’essere il mercenario di turno, solo per aver dichiarato qualcosa che era assolutamente ovvio, ossia l’interesse di altri club che l’avevano giustamente preso in considerazione dopo la stagione straordinaria conclusa. A chi non sa decidersi e ora lo giudica un campione e un secondo dopo un bidone, e non riesce a comprendere che Diego Milito è semplicemente un eccezionale attaccante capace di cose straordinarie ma che può anche passare dei periodi di forma non positivi, suggerisco di fermarsi un momento e guardarlo per poterlo vedere davvero. In fin dei conti il Principe è lì, sotto i nostri occhi: giocatore leale, mai sopra le righe, semplice e genuino, leale e sportivo, mai polemico, sbaglia e lo ammette, ci mette sempre la faccia e non trova scuse. Piange quando deve lasciare il Genoa per approdare all’Inter: segno di un sentimento vero, sempre più raro nel mondo del calcio di oggi. Capace di diventare l’uomo del Triplete senza celebrarsi troppo. Milito è il giocatore che esulta guardando i tifosi in curva, manda loro dei baci, li saluta, dedica loro il gol, accarezza la maglia e batte la mano sul petto, dalla parte del cuore. Milito, è lì, in quell’urlo di liberazione, basta guardarlo: urla che per una notte Milano è nerazzurra e che il Principe è tornato. O forse, più semplicemente, che non se ne era mai andato.
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