Domani sera Javier Zanetti raggiungerà quota 1.000 presenza da professionista e farò compagnia a gente come Shilton, Maldini e Seaman, grandi campioni in fatto di longevità. Ecco la sua intervista alla Gazzetta dello Sport. Il ricordo della notte prima dell’esordio: “Ero a casa con papà (non c’erano i ritiri allora). Ero emozionato e dormii poco. Non ho dormito così poco fino alla finale di Madrid e io prima di giocare dormo sempre. Ringrazierò sempre mio padre, un muratore che ha fatto tanti sacrifici per me, la mamma Violetta e mio fratello che mi ha insegnato a dare valore alle cose”. Il suo arrivo all’Inter. Fu Massimo Moratti a sceglierlo personalmente: “Mi vide in cassetta ai Panamericani Under 21, poi Giovanni Branchini e Paolo Taveggia mi segnalarono all’Inter. Ero in Sudafrica e il ct Passarella mi disse che l’Inter mi aveva acquistato”.

In Italia, 16 anni grandiosi: “Vivo con serenità, mi godo ogni allenamento e ogni partita. Mi sento felice, ogni giorno che passa. Non penso a quando smetterò”. Quando lascerà, sarà il momento giusto: “E’ importante scegliere il momento giusto, capire quando sarà tempo. Spero di rimanere legato alla famiglia nerazzurra. Ma non farò l’allenatore”. A proposito di allenatore, il tecnico che più gli ha dato: “Bielsa. Mi ha insegnato come vivere e interpretare il calcio”. La partita più bella: “La finale di Parigi di Coppa Uefa nel maggio 1998 contro la Lazio e poi l’esordio col Vicenza”.

La più brutta: “Inter-Lazio, ottobre 1998. Conceicao mi fece ammattire”. Quella che vorrebbe rigiocare: “Lazio-Inter, 5 maggio 2002. Non so ancora cosa sia successo quel giorno”. La vittoria che manca in carriera: “Una vittoria con la Nazionale”. L’avversario più forte: “Giggs e Kakà”. Il brivido che non dimenticherà mai: “La pelle d’oca la ebbi nel riscaldamento a Madrid, vedendo la curva dei nostri tifosi”. La volta che provò rabbia: “Juventus-Inter, aprile 1998. Ceccarini, in un pomeriggio, ci tolse un anno di lavoro e sogni”. Le lacrime non trattenute: “Nella seconda semifinale di Champions, nel derby del 2003. Non hai mai visto San Siro come in quella notte”.

Le frasi significative che più ricorda: “Una di Facchetti che mi dice ‘Senza sacrifico non ottieni nulla’. Questa frase detta da uno come Giacinto pesa come un macigno”. Le parole che avrebbe voluto dire e non ha detto: “Quelle con Hodgson nella finale contro la Schalke 04, nel 1997. Non erano parole che volevo rivolgere a lui, visto che ci abbracciammo subito, ma a chi ci vedeva e pensava cosa fosse successo”.

Il rigore alla Roma, squadra alla quale ha spesso segnato: “Era il primo rigore che tiravo, tant’è vero che la gente aveva le mani nei capelli. Da quando ho visto che con loro funziona ci provo”. Si è mai sentito stanco: “Si dopo Madrid e dopo la tensione di due settimane giocate al massimo per centrare il Triplete. Ma mi sento più stanco quando gioco con i miei figli Sol e Ignacio”.

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Mar 10 maggio 2011 alle 09:45 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alberto Casavecchia
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