Esteban Cambiasso, uno degli eroi dell’Inter del Triplete, è protagonista di un’intervista rilasciata a Paolo Condò per il libro ‘La Storia dell’Inter in 50 ritratti’, scritto a quattro mani con Fabrizio Biasin. Nel corso dell’intervista, il Cuchu ripercorre per filo e per segno la stagione 2009-2010, culminata con la notte magica di Madrid e la vittoria nella finale di Champions League contro il Bayern Monaco. Cambiasso non nasconde che quella squadra aveva ormai raggiunto un livello di consapevolezza della propria forza tale da arrivare alla sera del 22 maggio convinti di battere i tedeschi: “Per il cammino che avevamo percorso. Il salvataggio di Kiev. L’impresa di Londra. La partitissima col Barça a San Siro e la straordinaria resistenza del Camp Nou. E poi lo Scudetto praticamente perduto e poi rivinto. Il Triplete non poteva sfuggirci, non dopo aver passato così tante prove per esserne meritevoli. Si viveva in una specie di nirvana. Rischioso a pensarci, ma bellissimo. (…) Se per caso fosse stato il Bayern ad andare in vantaggio, non ci saremmo persi d’animo. Eravamo preparati anche alla rimonta”.

Giocate la finale sapendo che per Mourinho sarà l’ultima partita da allenatore dell’Inter?
“Non ufficialmente. In realtà se ne parla da un po’, e io immagino che ci sia qualcosa di vero. Inoltre, il mattino della partita tutti i giornali sportivi spagnoli mettono Mou in prima pagina scrivendo che dal fischio finale sarebbe stato l’allenatore del Real Madrid. Io ho giocato nel Real, conosco dinamiche e rapporti, se tutti i giornali ce l’hanno vuol dire che è una velina e dunque la cosa è pressoché ufficiale. In ogni caso nessuno di noi ci pensa. Siamo troppo concentrati sul traguardo. (…) L’ufficialità del suo arrivo mi arriva un paio di giorni dopo, quando ormai sono in spiaggia”.

Non vi siete mai salutati davvero, vuol dire?
“Se devo giudicare in base all’abbraccio con Materazzi nel garage, quando scoppia in un pianto dirotto, io credo che Mourinho abbia scientificamente evitato un addio ufficiale. A quel punto della sua carriera, il Real era una scelta inevitabile, ma lasciare quell’Inter gli costò moltissimo da un punto di vista che generalmente nasconde. Quello umano”.

Il rientro nella notte vi porta a San Siro, a festeggiare con la vostra gente. Ma senza Moratti.
“Ci disse di sentirsi esausto, per la stanchezza e la tensione accumulata, ma ci ho sempre creduto poco. Reggendo la coppa col capitano Zanetti, quella notte entrò in testa a tutti suo figlio Mao. Secondo me il presidente volle fargli quel regalo, lo stesso ricevuto all’epoca da suo padre Angelo. Moratti è il tipo che si commuove per queste cose. È il motivo per cui piaceva tanto a noi giocatori”.

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Sezione: In Primo Piano / Data: Dom 27 settembre 2020 alle 21:38
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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