Legge poco i giornali, non ama parlare e rilasciare dichiarazioni, e forse mai lo avrebbe fatto se questa idea non fosse nata quasi per caso, tra il serio e lo scherzoso. Tipo sereno, lui. Rilassato, profondo conoscitore della materia e amante del proprio lavoro. Tranquillo, proprio come Binasco, un comune di 7.000 abitanti nella città metropolitana di Milano. Ci accoglie proprio qui, nella sua abitazione, per parlare di tanti argomenti che, forse, non tutti conoscono. Una vita al servizio dei muscoli dell'atletica leggera (dal 1977 al 2004 responsabile medico della Società Sportiva SNAM sezione Atletica Leggera e Nuoto), 4 anni con la pallavolo, dal 1988 fisiatra addetto della squadra nazionale della Federazione Italiana di Atletica Leggera. Dal 1995 al 2000 consulente fisiatra Olimpia pallacanestro, dal 1996 al giugno 2000 consulente fisiatra della Juventus, e poi l'Inter: l'esperienza più bella e ricca. Da luglio 2000 a luglio 2014, 14 anni di successi, sotto tutti i punti di vista. Vittorie di squadra, personali e umane. Insomma, nonostante la parentesi bianconera, lui era e resterà per sempre un grande cuore nerazzurro.
Un uomo che, però, è stato allontanato in maniera poco chiara. Un addio che sarà uno dei tantissimi argomenti trattati in questa lunga intervista esclusiva, passando tra allenatori ("Alcuni non erano da Inter, altri vivevano in 'case senza specchi'"), presidente ("Hanno 'ridotto' la figura di Moratti, un comportamento per me inspiegabile"), giocatori che sono (o sono stati) campioni in campo ma non altrettanto fuori ("C'era chi dormiva poco, chi frequentava brutte compagnie e chi non si fermava nemmeno per le terapie"). Il doping nel calcio, la scelta di far rientrare un giocatore in disaccordo con il tecnico e la definizione atletica, oltre che umana, di alcuni campioni che ad Appiano Gentile hanno lasciato il segno, come Ronaldo, Christian Vieri, Adriano Leite Ribeiro, Zlatan Ibrahimovic, Wesley Sneijder, Samuel Eto'o, Javier Zanetti e Diego Milito.
FcInterNews è con il dottor Franco Combi.
Qual è il rapporto tra un medico e un allenatore?
"Esordisco dicendo che il medico non è dell'allenatore, bensì della società. I club importanti hanno una rosa, un numero di giocatori molto importante, il cui valore totale è assolutamente di altissimo livello. Per fortuna ho sempre avuto un Presidente che ha sempre salvaguardato la salute degli atleti, non per finalità economiche - per poterli vendere in perfetto stato -, ma proprio per il rispetto verso la persona. Questo è un grande merito del Dottor Massimo Moratti, il quale mi ha sempre detto e ribadito in ogni circostanza che l'aspetto prioritario era la salute del calciatore. Poi chiaramente stiamo parlando di un valore intrinseco: la garanzia di completa guarigione permette al giocatore di mantenere il massimo delle sue caratteristiche atletiche e quindi il mantenimento del suo valore".
In pochissime circostanze i medici rilasciano dichiarazioni circa gli infortuni degli atleti.
"Se avvenisse il contrario sarebbe un errore grave. A mio parere i medici devono stare zitti (sia per etica professionale che per legge), il loro compito è quello di garantire alla società un giocatore sano e al massimo della condizione. Poi se il calciatore stesso, in accordo con il club, ritiene opportuno spiegare pubblicamente il motivo e le dinamiche di un infortunio, a quel punto il medico può, anzi, deve fare chiarezza".
Allenatore e medico: a chi l'ultima parola sul rientro in campo del calciatore, soprattutto quando i pareri sono contrastanti?
"A mio parere dipende dal giocatore, consapevole e informato nel miglior modo possibile dal medico sulle caratteristiche aggiornate del suo tipo di infortunio. Se il compromesso portasse a un grave rischio della sua salute non ci dovrebbero essere barriere. Nel senso che in un ipotetico caso come questo, la possibilità del rientro in campo non sarebbe minimamente presa in considerazione. Altrimenti questo compromesso arriva dopo una valutazione logica e scientifica, parlando con il giocatore stesso, con il tecnico e la società, e in questo caso potrebbe anche scendere in campo ben conscio di rischiare un ulteriore problema fisico".
Immagino abbia vissuto tantissimi episodi di questo genere...
"Tantissimi, ma è fondamentale l'intelligenza del calciatore. Alcuni sanno mantenere un certo ritmo, senza farsi male. Poi molto dipende anche dal contesto: andando a giocare, per esempio, una finale di Champions League uno sforzo, e di conseguenza un rischio, sarebbe comprensibile (parlo naturalmente di infortuni atletici che non possono compromettere la salute dell’individuo, come già detto). Questo, però, non deve essere un atteggiamento abituale, soprattutto da parte degli allenatori. Altrimenti verrebbe meno la sicurezza dell’atleta. Il tecnico, spesso, ritiene di essere la figura più importante, a livello decisionale, sulla determinazione della 'guarigione dell’infortunio' del calciatore. Dimentica però che le uniche professioni che possono 'cadere' in una rivalsa civile e penale sono il medico e il presidente. Lui al massimo rischia l'esonero in mancanza di risultati".
Per quanto riguarda i casi 'estremi' tutti ricordano l'infortunio di Chivu a Verona.
"Esattamente. Cristian è una persona dotata di grandissima intelligenza. In quel momento estremamente delicato ha mostrato una serenità impressionante e ha permesso a tutti coloro, in ambiente medico, che lo hanno curato di riportalo a continuare la sua attività di professionista al livello precedente al grave infortunio".
La prima parte della stagione 2010-2011 e la seconda del 2012-2013 messe a confronto con l'annata del Triplete, quella 2009-2010: tantissimi infortuni da una parte e il recupero in tempi record dall'altra. Come mai questa differenza?
"Quando si cambia allenatore c'è sempre una percentuale di infortuni da mettere in preventivo, per varie ragioni, come ad esempio la differenza di preparazione. Ho visto tantissimi tecnici, e quindi cambiano sempre i metodi di lavoro. All'inizio accadono problemi di natura fisica. Per quanto riguarda Mourinho, nel suo primo anno non sono certamente mancati i problemi fisici, ma la stagione successiva è stata un successo anche da questo punto di vista. Solo due stop con i giocatori che hanno recuperato in pochissimo tempo".
Merito dell'allenatore, quindi?
"Questi risultati si possono raggiungere quando l'allenatore è anche un grande leader. Sia a livello culturale che personale. Parlo di Mourinho, ma posso dire altrettanto di Leonardo e di alcuni altri. Sono persone che hanno una sensibilità da leader. Si può litigare, ma senza portare rancore, tutti rispettano il lavoro e le idee altrui. Sempre con rispetto. Con alcuni allenatori ho avuto parecchie difficoltà perché a loro non andava bene il mio rapporto quotidiano con Moratti. Stiamo parlando, però, del mio presidente, e credo questo rapporto sia una cosa normalissima. Loro vivevano tutto questo malissimo, perché sapevano che io parlavo chiaro, e dicevo cosa pensavo in merito agli infortuni. Non ho mai capito tale difficoltà, era solo una doverosa informazione in merito alla salute dei calciatori. Questo 'dovere' spesso portava a incomprensioni".
Cosa non funzionò in alcune stagioni?
"Il rispetto per principio non è mai mancato, poi quando le cose vanno male molte persone vivono in una 'casa senza specchi'. Vivendo in questo modo la colpa è sempre degli altri, mentre le responsabilità possono essere di tutti. Uno può essere bravissimo, ma entrando in un nuovo ambiente può succedere che non si crei quella sintonia ideale".
In alcune annate , quindi, la responsabilità dei tanti infortuni non era da attribuire solo ed esclusivamente allo staff medico...
"È stato un fenomeno strano, e tutti pensano che i problemi fisici siano causati solamente dal medico. La stampa poi accompagna questo modo di pensare, a seconda dell'allenatore che siede in panchina in quel preciso momento. L'infortunio non è una colpa dello staff medico, se mai lo potrebbe essere la recidiva. Questo è molto importante e tutti dovrebbero ricordarlo".
Il calciatore rimane fermamente convinto della propria idea e decide di scendere in campo, nonostante sia conscio di correre un rischio. Cosa succede in questo caso?
"Io ho sempre detto ai calciatori l'entità del loro problema, perché nascondere il tipo di infortunio porta a una grave mancanza di fiducia, con le disponibilità economiche che hanno possono in una sola giornata prendere un aereo, eseguire un consulto, fare gli accertamenti del caso e tornare in tempo per l’allenamento senza che nessuno sappia nulla. La mentalità che tutto dovrebbe essere risolto all'interno è un errore grossolano. Una volta era tutto diverso, oggi, con i moderni mezzi di diagnostica per immagini, anche un piccolo problema viene alla luce".
La metodologia di lavoro, soprattutto in fase di preparazione, può essere decisiva per gli infortuni?
"Assolutamente sì. Ci sono casi in cui la preparazione è inferiore alla 'prestazione'".
All'Inter dal 2000 al luglio del 2014: ci sono state delle preparazioni che, analizzandole da fuori, le hanno fatto pensare: "Ma cosa stanno facendo l'allenatore e il proprio staff..."?
"Certo. Alcune preparazioni potevano essere non perfette, ma con il tempo un allenatore può capirlo e ammettere di aver sbagliato. Questo è un grande segno di umiltà. Altri, al contrario, non vogliono cambiare e continuano sulla medesima linea, che può darsi che in altri ambienti abbiano dati dei risultati, ma all'Inter non li diede. Probabilmente il loro livello non era sufficiente per essere alla guida di una squadra al top come quella nerazzurra".
Sembra molto chiaro l'allenatore al quale si riferisce...
"Non mi riferisco a nessun allenatore in particolare. Molto dipende dalla voglia di cambiare e di ammettere l'errore, e quando si fa notare loro l'inesattezza della metodologia di lavoro questi allenatori la prendono sul personale, giudicando queste precisazioni un ostacolo, al posto di prenderne atto. Questo è un grosso problema".
Durante la sua esperienza all'Inter, quali sono gli allenatori che, al contrario, sono stati il top in tutti i sensi?
"Troppo facile parlare di Mourinho, lui era il migliore. Posso nominare, come detto prima, anche Leonardo, ma non voglio dimenticare anche altri, per esempio Cuper. Lui è stato un grande allenatore ed è un grande uomo, ma aveva un preparatore i cui metodi di lavoro non erano semplici. Infatti le litigate e le discussione erano numerose. Cuper sapeva di questi problermi, ma in quel momento aveva fiducia in quello staff, anche se tutti i giorni cercava di fargli capire le difficoltà. Mi sono trovato benissimo con il tecnico argentino".
Stagione 2001-2002, quella terminata con la tristemente famosa gara contro la Lazio del 5 maggio. È vero che la squadra arrivò al rush finale di campionato senza più 'benzina'?
"Non credo, gli infortuni hanno avuto molto peso. Se Cuper avesse vinto lo Scudetto sarebbe stato l'allenatore dell'Inter per molto tempo. Non credo che la squadra fosse 'cotta', ma i problemi fisici arrivati in serie hanno impedito di raggiungere la forma ottimale. In quel momento venivano schierati tanti giocatori nonostante la forma fisica non fosse ottimale. Tutto cambia quando si parla di un autentico fenomeno, che può vincere le gare da solo non essendo al 100%, ma per gli altri giocatori è diverso".
Immagino sia capitato che in alcuni casi gli allenatori non siano stati limpidi nei confronti del calciatore...
"Certo. È successo che gli allenatori venissero da me invitandomi a non dire al calciatore la sua reale condizione e la verità circa il problema fisico, pur di farlo scendere in campo. Personalmente ho sempre detto, nella maniera più assoluta, la verità. Questo mio comportamento, corretto ovviamente, l'ho sempre pagato sulla mia pelle, ma alle spalle avevo sempre l'ok del mio presidente che voleva che mi comportassi in modo limpido nei confronti degli atleti. Io non accetterò mai di non dire la verità al giocatore. Il tecnico cosa paga? Al massimo verrebbe esonerato, ma medico e presidente andrebbero incontro, oltre a problemi strettamente morali legati al tipo di professione che si esercita, anche a problemi legali importanti".
Abbiamo citato alcune stagioni difficili nel rapporto allenatore-medico. Può dirci di più in merito?
"Tutto è stato amplificato. Io ho sempre fatto il mio dovere e gli allenatori il proprio, poi ci sono componenti di armonia che sono un discorso diverso. Quando succedono degli infortuni scatta la caccia al colpevole, e capita spesso che un giornalista venga incaricato per ridurre le responsabilità di una certa persona. Ognuno di noi, comunque, ha sempre svolto il proprio mestiere. Ho semplicemente detto all'allenatore la mia idea. Io non ho contrastato il lavoro di nessuno, non ho mai parlato con i giornalisti per fare chiarezza, perché questo è compito dell'ufficio stampa. Io non avrei mai potuto parlare con i giornalisti. Mi è capitata una cosa spiacevole: alcuni di loro mi dicevano che avrebbero parlato male di me fino al momento in cui non avessi detto loro qualcosa. Questo comportamento mi ha fatto parecchio arrabbiare. Alcuni accettano situazioni di questo tipo, per me non esiste tutto questo".
A livello pubblico, le società si comportano in maniera diversa quando si deve spiegare un infortunio?
"Alcuni club non hanno mai infortuni... ma perché non li rendono pubblici. Si parla di influenza, di febbre a 38°, poi i giocatori passano le settimane senza giocare e nessuno se ne accorge...".
Domanda molto generica: il doping nel calcio esiste? La situazione attuale cosa dice?
"Secondo me la percentuale dei calciatori che oggi abusa di sostanze dopanti è quasi nulla. Voglio fare però un esempio: la tentazione di doping può 'esistere' quando un giocatore di medio-basso livello scende in campo sapendo di essere osservato da visori di grandissimi club, ma la condizione non è al top. In quel caso, umanamente, uno è portato ad abusare del doping. Magari non ci sono neanche le qualità tecniche per sfondare, e all'orizzonte c'è la possibilità di essere acquistato da una grandissima società. In questo caso può succedere, ma stiamo parlando di un giocatore privo di etica sportiva".
Milito e Zanetti negli ultimi anni hanno subito gravi infortuni, peraltro nella stessa stagione. Come ha vissuto umanamente questi ko fisici?
"Javier soffriva di un'infiammazione al tendine, e il suo infortunio mi ha creato molto dispiacere. Lui era conscio di questo problema, ma la sua autodisciplina era altissima. L'ho conosciuto nel 2000, quando tornò da un impegno con la Nazionale argentina con una lesione gravissima agli adduttori. Da quel momento non accusò più alcun problema fisico. Si gestiva alla perfezione, e nel tempo abbiamo anche instaurato un rapporto di rispetto e stima reciproca. Però forse, proprio per questo, il problema al tendine è stato sottovalutato e poi è arrivato l'infortunio di Palermo, nonostante la documentazione fosse tranquillizzante. Per quanto riguarda Milito, il discorso era diverso. Diego voleva giocare sempre e questo lo portava a nascondere i problemi fisici di cui era vittima. Arrivava al mercoledì insicuro, poi da un momento all'altro stava benissimo, ma non era così. Abbiamo litigato tantissime volte per il retto femorale, perché io sapevo che non stava bene, però diceva all'allenatore di essere in ottima forma. Avevamo confidenza, e non mancavano certamente gli scontri 'coloriti'. Un giocatore può essere il più bravo, il più ricco e soddisfatto del mondo, ma la domenica in campo rimane 'sacra'".
Le pongo la domanda contraria: esistono i 'lazzaroni'?
"Non è totalmente corretto dire che esistono i 'lazzaroni', ma ci sono delle condizioni di incoscienza. I motivi sono due: in primis la giovane età. I giocatori escono a divertirsi, fanno tardi, dormono poco e cercano di nasconderlo in campo il giorno seguente. Alcuni hanno un fisico incredibile e ce la fanno, altri no. Tanti giocatori si comportavano così, ma le poche ore di sonno venivano colmate dalle doti atletiche. Certo, sono persone giovani che vengono catapultate in un nuovo mondo in cui vengono in contatto, purtroppo, anche con persone sbagliate".
È il caso di Adriano?
"Sì, purtroppo. Per recuperarlo è stato fatto l'impossibile. Ha frequentato delle compagnie sbagliate ed è andato tutto male. Era ed è un ragazzo d'oro, io gli sono molto affezionato, l'ho visto crescere dato che è arrivato all'Inter quando era solo un ragazzino. Potenzialità enormi, elevatissime, però queste persone lo hanno danneggiato. I giocatori con noi della società 'vivono' poco, nell'arco della giornata è più il tempo che trascorrono fuori rispetto a quello passato con noi del club, e se la compagnia è quella sbagliata...".
Cosa ha fatto la società per aiutare il giocatore, oltre che la persona?
"L'impossibile. Moratti ha fatto di tutto e di più, tutto quello che si poteva fare lo ha fatto. Adriano aveva tanti problemi, ma soprattutto le persone che aveva intorno lo trascinavano in posti sbagliati appena metteva piede fuori da Appiano Gentile. Lui diceva che era maggiorenne e poteva decidere... sono scelte".
A luglio 2014 c'è stato l'addio dopo 14 anni: cosa è successo?
"Non c'è molto da spiegare. Mi hanno chiamato per comunicarmi la decisione di mandarmi via, anche se io avevo capito tutto già da tempo. Non sono scemo (ride, ndr). Posso dire, comunque, che se una persona inizia e cresce con Moratti è anche giusto che la propria avventura all'Inter finisca con il Presidente Moratti".
La scelta è stata di Erick Thohir?
"Si dice che la scelta sia stata sua, ma è stato molto, molto influenzato".
Può svelarci i nomi?
"Meglio di no, ma non ha molta importanza questo...".
Con Thohir ha mai parlato?
"No, assolutamente. Nessuna chiamata, nessun messaggio e nessun colloquio. Credo che la scelta di impedire tutto questo sia stata dettata da altri. La stessa domanda che mi ha posto lei mi è stata fatta anche dal presidente Moratti. Sono andato via, mi è dispiaciuto tantissimo e poi nel corso di pochi mesi è cambiato tutto. Oggi non sto male, ma il mio grande dispiacere è un altro".
Può spiegarci?
"La riduzione della figura del presidente Massimo Moratti, un comportamento per me inspiegabile. Moratti non farebbe mai male all'Inter".
Perché ha deciso di cedere la maggioranza della società?
"La cessione del club è un discorso diverso. Penso che l’abbia ceduto perché le condizioni lo hanno portato a questo, ma il fatto che sia escluso totalmente lo ritengo una cosa molto triste. Mi dispiace molto e non capisco tutto questo".
Al momento del passaggio societario, il club era altamente da 'allarme rosso'?
"Questo non posso saperlo, non posso entrare nelle tasche del presidente. A una certa età, dopo 20 anni di Inter, ci può comunque stare una scelta di questo genere".
Elencherò ora una serie di giocatori e lei proverà a definirli dal punto di vista atletico. Partirei da Javier Zanetti.
"Javier è un uomo con una notevole disciplina, capace di gestirsi alla perfezione e con una spaventosa volontà. Cercava di migliorarsi con l'allenamento continuo, anche quando i compagni erano ancora a dormire".
Ronaldo.
"Per me è fin troppo facile parlare di lui. Le svelo un aneddoto: quando andò via dall'Inter per andare al Real Madrid vinse poi il Pallone d'Oro. Giorni dopo fece fare tre copie del riconoscimento per regalarne una al presidente Moratti, una al Prof. Gaudino e una al sottoscritto. Questo è il campione. Lui non aveva più nulla a che fare con l'Inter, ma si comportò in questo modo. Vederlo giocare era come ammirare un'opera d’arte".
Da una parte doti atletiche clamorose, ma dall'altra tanti e gravi infortuni. Come spiega tutto questo?
"Cito l'atletica leggera, calcolando però che nel calcio si scende in campo ogni tre giorni. Per sviluppare il muscolo ci vuole un mese, per condizionare il tendine allo stesso modo occorre il triplo del tempo. Qual è l'errore? Quando si sviluppa il muscolo, ma non il tendine. Ci sono dei soggetti molto potenti geneticamente che per questo motivo vanno incontro a problemi di questo tipo. Immagini in una squadra di calcio: tutto questo è amplificato. Il problema di Ronaldo era in parte questo".
Ivan Ramiro Cordoba.
"Per me è un fratello, anzi, un figlio. È l'atleta più onesto che abbia mai conosciuto, alla pari di Chivu. Uomini e calciatori onesti. Persone che tutti vorrebbero avere vicine, e posso dire lo stesso di Walter Samuel. Sono tra i miei migliori amici".
Marco Materazzi.
"Un ragazzo (ride, ndr). Anche lui è onesto, ma ogni tanto 'sballa'. Resta un bravissimo ragazzo".
Esteban Matias Cambiasso.
"Cuchu è stato un dispiacere per me quando seppi che non era più all'Inter. Era fisicamente a posto, la società a mio parere ha sbagliato a mandarlo via".
Wesley Sneijder.
"Ho sempre avuto un rapporto molto difficile con lui. È un genio, ma anche sregolato. Essendo io una persona disciplinata mi scontravo spesso con le sue idee. Non era possibile seguirlo con attenzione. Quando gli chiedevo di fermarsi dopo l'allenamento per fare ulteriori cure, cinque minuti dopo era già vestito per andare via da Appiano. Non era disciplinato. Peccato".
Samuel Eto'o.
"Samuel è un uomo di classe, con grandissime doti naturali ".
Dejan Stankovic.
"Voglio molto bene a Dejan. Ha un cuore grandissimo, un grande campione ma è sempre stato un giocatore molto 'delicato'".
Christian Vieri.
"Voglio molto bene anche a lui ed è una persona molto onesta. Un tipo un po' ombroso, ma non mi ha mai tradito".
Su di lui si sono sprecati i rumors che mettevano in dubbio il Vieri-professionista. Cosa può dirci in merito?
"Giocava anche quando non stava bene, ha sempre dato il massimo. Posso dire che è una persona corretta, l'ho visto litigare dentro gli spogliatoi in modo esplosivo, ma per difendere i compagni, non per sé stesso. Diceva sempre le cose come stavano realmente. Fuori dal campo 'piaceva', ma è stato tutto un po' amplificato. Lui è sempre stato un uomo nei miei confronti corretto. Era un ottimo professionista".
Zlatan Ibrahimovic.
"Non è stato difficile gestire Zlatan, ho avuto un ottimo rapporto con lui. Sarebbe stato perfetto anche nell'atletica leggera nei 400. Ha la coordinazione di uno piccolo, ma in un corpo di 193 cm".
Nella stagione 2007-2008 rientrò all'ultima giornata vincendo da solo la partita-Scudetto di Parma. Come si sviluppò quel periodo? Ricordiamo che fu vittima di un infortunio particolare...
"Il problema c'era e andammo in Svezia appositamente per capire ancora meglio di cosa si trattasse. Visita con un medico specializzato in questo campo svedese: il Prof. Alfredson Halfredson, uno dei migliori a livello clinico, ma anche come ricercatore, che parlò chiaramente a Zlatan. A quel punto lo curammo e rientrò a Parma".
Come andò al 'Tardini'?
"Lui conosceva le proprie condizioni, il rischio grave era ormai superato. Non era al top, ma in grado per entrare in gara".
Tornando a Mourinho, può svelarci un aneddoto simpatico che lo riguarda? Perché lui è lo Special One?
"La grandezza di Mourinho consiste in questo: rispettava e trattava tutti nello stesso, identico modo. Lui è speciale perché è intelligente e colto. Questo è molto importante, si aggiornava sempre, in ogni momento. Altri, invece, ancora oggi hanno la stessa mentalità che c'era nel calco di 20 anni fa. José ha due lauree, una in psicologia e un'altra in scienze motorie. Questo contribuisce a farsi capire al meglio sulle problematiche dei giocatori infortunati. A volte il discorso era diverso con i fenomeni, perché loro possono fare la differenza anche non essendo al 100%. Con tutti gli altri agiva nella stessa maniera, non rischiandoli fino al momento della forma ottimale. In verità questa capacità era il pregio anche di altri allenatori".
Qual è il momento più bello e più brutto della sua avventura all'Inter?
"Il ricordo più bello che mi lega all'Inter è... aver lavorato per l'Inter. Non ho ricordi brutti, a parte il fatto che ultimamente è stata fatta una 'strage' di persone in gamba che non c'entravano nulla".
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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