Quando una partita è praticamente perfetta per novanta minuti è impossibile non essere sedotti dalla squadra che mette in scena una simile prova di forza. Non c’è mai una sola spiegazione. L’Inter è diventata così grazie a diversi fattori e ad alcuni valori che erano tali anche quando venivano messi in discussione, in alcuni casi correttamente, in altri esasperatamente.
Il Genoa non è mai stato in partita per merito dell’Inter e, per essere onesti, anche per una formazione messa in campo senza tutti i suoi titolari in vista del derby col Genoa. Con questi forse avrebbe potuto restare di più in partita ma non molto altro, considerando che per vincere in questo modo, serve una squadra che giochi bene a prescindere dall'avversario e l’Inter lo ha dimostrato con la Juventus, il Milan e senza abbassare il livello come temuto dallo stesso Conte, contro un Genoa che non perdeva dal 6 gennaio.
Conte è riuscito a mettere in piedi una squadra che si muove in modo sinfonico e i cui equilibri sono quasi perfetti, grazie ad una variazione del suo pensiero, al miglioramento del collettivo, all’innesto di individualità e alla capacità di non avere infortuni.
Il merito reale del tecnico è aver protetto la squadra ed esaltato le sue qualità, portandole al massimo e dando continuità di rendimento, fino a trovarsi sola in testa alla classifica con un buon margine sulla seconda.
Conte è stato chiamato per questo, è l'allenatore nettamente più pagato perché porta in dote una qualità rara nel fornire alle sue squadre tutto quello che serve per primeggiare.
L’intervista rilasciata al Corriere della Sera (sabato) è illuminante e riflette alcune teorie sul mondo Inter che Conte vede a modo suo ma conferma (come accaduto con Spalletti e Mancini) che l'ambiente nerazzurro è maledettamente complicato e per ragioni diverse si frappone tra sé medesima e il perseguimento del successo.
Poi arrivano allenatori ambiziosi come lui, ai quali viene chiesto di fare un salto di qualità, senza considerare che non lo deve fare solo la squadra e arrivano i problemi.
Se Mancini fosse stato aiutato e non ignorato fino al punto di rompere, forse quel percorso sarebbe arrivato anche prima. Conte che dice: “mi avevano sconsigliato l’Inter” è personaggio dalla forte personalità, dice spesso senza filtri quello che pensa ed è un limite se alcune affermazioni vengono espresse prive di diplomazia, ma ci aiuta a definire meglio le cose, come quando ha sostenuto che “se per 10 anni non vinci ti abitui inconsciamente alla situazione, cerchi alibi o dai la colpa a qualcun altro, non vedi i tuoi limiti né i difetti. L'ambiente si impregna di questo”.
Ha straordinariamente ragione ma dimentica che l’Inter di cui parla veniva da anni di successi e che in seguito avrebbe attraversato un interminabile crisi societaria, con debiti e cambi vorticosi in società che ne avrebbero condizionato scelte e ambizioni.
Conte è comunque un acceleratore di eventi e forse intimamente si rende conto, con quel rammarico espresso ieri in conferenza stampa, che questa squadra avrebbe dovuto essere almeno agli ottavi di Champions a giocarsela.
Oggi l’Inter gioca bene perché Lukaku è tornato ad essere devastante, Lautaro sembra maturato e decisivo, Sanchez è risoluto, perché la difesa è tornata ad essere impenetrabile, Barella e Brozovic non sbagliano una partita ma anche perché Conte (che non ammetterà mai di aver sbagliato la gestione) ha finalmente messo al centro del progetto Eriksen e puntato su Perisic.
Il calcio è fatto di movimenti, energia, motivazione e mentalità ma soprattutto dal talento e questa squadra ora ne ha molto di più in mediana e sulla fascia sinistra. Senza qualità l'organizzazione di gioco, per quanto importante, perde efficacia e ora l’Inter ha tutto quello che serve per arrivare fino in fondo con la piacevole responsabilità di essere improvvisamente la favorita per lo scudetto.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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