L’Inter cade a e al Picco, un gioco di parole forse già abusato ma fin troppo chiarificatore della grottesca serata di venerdì. Ancora una volta la squadra di Simone Inzaghi si dimostra tradizionalista in maniera imbarazzante e dopo un primo tempo da leader assoluta del gioco, condotto nel modo più propositivo possibile, cestina tutto, buoni propositi compresi, e va via dalla Liguria sconfitta e arrabbiata. Ma questa volta la rabbia non basta e in verità neppure le parole. L’imbarazzo questa volta è davvero tanto e persino le spiegazioni non sembrano servire più. Né la calma di Samir Handanovic, o la rabbia di Lautaro Martinez: a margine della disfatta a La Spezia il silenzio è l’unica via percorsa, eccezion fatta per Inzaghi, unica voce a tinte nerazzurre sentita nel post partita che ha banalmente recitato un copione già noto fatto di: ‘Avremmo meritato di più’. Bella scoperta Simò!!

Eccezion fatta con Juve e Milan all’andata, nelle sconfitte fin qui incassate, otto limitandosi al solo campionato e già come dato è alquanto stridente, quasi mai l’Inter non avrebbe meritato di più. E il dramma è proprio questo. Crei, costruisci, tiri, sbagli (tanto), prendi gol, perdi. Quasi sempre in questa successione. Contro la squadra di Leonardo Semplici, c’è anche l’aggravante del rigore sbagliato, altra occasione clamorosamente sprecata che si aggiunge alla lista dei tanti elementi che fanno di questa squadra l’incompiuta per eccellenza. Otto, ripetiamo insieme, otto sconfitte collezionate nella sola Serie A, l’ennesima contro una ‘piccola’, la seconda consecutiva in trasferta dopo Bologna. Il problema è evidente, la soluzione a quanto pare no.

E questa tanto bramata continuità non s’ha da trovare e con essa anche maturità e quel poco di serenità che oggi sarebbe servita come l’acqua nel deserto. A qualche giorno dalla trasferta di Oporto i tre punti, alla luce di una classifica che mette in dubbio la certezza di giocare partite come quella in programma all’Estadio do Dragao martedì, erano un obiettivo pressoché obbligato per i nerazzurri. Per dare un segnale agli avversari ma soprattutto per morale e garra che invece, dopo il fiasco in riva al Golfo dei Poeti, sono comprensibilmente sotto i piedi. Ma non è tutto: oggi a venire meno inizia ad essere anche la fiducia riposta nell’allenatore. Il meeting di Appiano di ieri pomeriggio con tutta la dirigenza al completo, fatta eccezione per Steven Zhang, non è che l’ennesimo tentativo di riordinare le idee e di provare a studiare cosa non è andato per ripromettersi di non incappare negli stessi errori. Un copione già visto, indubbiamente, che a tratti ha anche funzionato ma che visti gli ultimi inciampi non sembra più essere sufficiente per garantirsi un finale di stagione su un comodo rettilineo che porti alla qualificazione in Champions League.

È più facile riuscire a vendere un banco di ghiaccio ad un inuit che trovare una logica in questa Inter di Simone II: una squadra che prima fatica con le big poi si esalta con le piccole, poi quando sembra riallacciare un discorso di continuità di risultati ecco puntualmente disfare tutto peggio di Penelope, attraversare una porta spazio temporale e offrire la faccia completamente opposta una volta ripresa la stagione: riesce nell’impresa di battere il carro armato Napoli ma poi subisce battute d’arresto inusitate a Monza (anche se con il ben noto contorno di una direzione arbitrale che il direttore di gara Juan Luca Sacchi finirà di espiare proprio oggi, tornando a dirigere in Serie A in occasione di Lecce-Torino), a Genova concedendo un punto ad una Sampdoria in balia delle onde, poi il mezzogiorno e mezzo di fuoco di Bologna e l’ultimo capitombolo di venerdì, passando anche per la serata beffarda di San Siro contro l’Empoli. E arrivati ormai nell’ultimo terzo di stagione, ora più che mai un dubbio si fa assillante nella mente: ma questo è davvero l’organico più forte della Serie A, come in tanti asseriscono?

Oggi la risposta è un monosillabo semplice e diretto: no, questa faccenda della rosa più forte si sta dimostrando un puro assunto teorico che si è schiantato spesso e volentieri di fronte alle prove pratiche e male cascare ancora nel tranello di questa frase fatta. L’Inter è una squadra buona, che quando è in serata prende in mano le redini del gioco e non le molla più, ma che o per un motivo o per un altro si ritrova puntualmente a fare i conti con delle lacune che una volta uscite allo scoperto diventano dei veri e propri gorghi nei quali il gruppo precipita al minimo errore. È una squadra che spesso si intrappola da sola nelle proprie ansie, nel proprio nervosismo, quasi sentisse sempre il peso inconscio di dover fare sempre quel qualcosa in più per dimostrare di essere più di quello che effettivamente si è; un peso che a tratti diventa schiacciante nel momento in cui la partita non prende la piega sperata. E soprattutto, è una squadra in confusione sotto molti aspetti, su tutti quello delle gerarchie: appare francamente assurdo, infatti, stabilire a metà marzo quella che deve essere la ‘scaletta’ dei rigoristi e farlo alla luce della sorpresa di Romelu Lukaku nel vedere Lautaro andare sul dischetto al minuto 12 della gara contro la Spezia. Come è tutto fuorché logica la rotazione della fascia di capitano, che non può essere dettata solo ed esclusivamente dal numero di presenze in nerazzurro, e appare francamente un non-sense anche la rotazione dei portieri, specie considerate le caratteristiche diverse dei due protagonisti e come le suddette incidono su quella che è la predisposizione della difesa. Tutti temi ai quali, duole dirlo, Simone Inzaghi continua a rispondere con un metodo quasi pilatesco che non fa bene.

Questa Inter non è la squadra più forte del campionato, e questo a prescindere dal Napoli che ormai può cominciare a preparare l’abito delle feste rimasto in naftalina per 33 anni perché indossarlo è solo questione di giorni; perché una squadra forte come dovrebbe essere l’Inter non deve vivere ogni settimana il patema di una corsa Champions costantemente in bilico. Il fatto che anche le avversarie vivano fasi di saliscendi continui e rendano sempre più affollata questa corsa non deve essere una scusante, perché una squadra che si presume essere forte queste situazioni le appiana andando a prendere punti lì dove la logica e il tasso tecnico impongono di prenderli e non va a cascare su qualunque buccia di banana trovi sul suo cammino. Rendendo in questo modo l’aria intorno a sé molto, molto pesante.

Pesante è soprattutto l’aria intorno a Simone Inzaghi, per il quale ormai i bonus sono finiti e il rischio di non iniziare la prossima stagione alla guida dell’Inter si fa sempre più concreto, nuovo allenatore che fallirebbe l’obiettivo di sedersi per tre anni di fila sulla panchina nerazzurra come non succede dai tempi del primo Roberto Mancini. E il calendario del campionato non è proprio benevolo, visto che all’orizzonte ci sono la Juventus e la Fiorentina, due match infuocati ma con dalla sua il jolly San Siro, lì dove l’Inter ha fatto vedere quasi sempre il suo volto migliore.

Ma prima, c’è questo ritorno degli ottavi di finale che chiama: non sarà affatto una passeggiata, perché i tifosi del Porto, memore delle scaramucce dell’andata, stanno preparando un clima infernale e la squadra di Sergio Conceiçao ha già dimostrato di non avere paura di metterla sul fisico e sui nervi. Servirà non cascare negli eventuali trabocchetti tesi dagli avversari, servirà grande forza non solo fisica e grande lucidità per ottenere un traguardo ora più che mai importantissimo. Per l’Inter e per il suo allenatore, che contro il Porto cerca di attraccare nel porto delle otto più grandi d’Europa, lì dove l’Inter manca da 12 anni: una carta non di poco conto da giocarsi sul tavolo di un futuro, purtroppo per lui, tornato da scrivere e da blindare.

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Sezione: Editoriale / Data: Dom 12 marzo 2023 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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