Ohibò, è successo un’altra volta. Nell’estate più anomala della storia del calcio italiano e internazionale, purtroppo non per colpe specifiche di qualcuno, è accaduto un altro risultato di quelli che in un certo senso fanno rumore. Di più, all’interno dello stesso turno di campionato ne sono accaduti tre di livello sensazionale: la Lazio di Simone Inzaghi, da tutti decantata e attesa come rivale con tutte le carte in regola della Juventus pluriscudettata, l’unica davvero in grado di poter contrastare dopo tanti anni il dominio della Vecchia Signora, dopo aver perso malamente in casa contro il Milan lascia anche tre punti sul campo del Via del Mare consentendo al Lecce di festeggiare un insperato colpo per la salvezza; qualche ora più tardi, la Juve riesce nell’impresa di passare da 2-0 avanti a 4-2 sotto dopo dieci minuti di follia nei quali il Milan infligge una sonora lezione ai bianconeri e rilancia le proprie quotazioni di un campionato abulico. Passano due giorni, ed ecco che l’unica delle tre squadre che prima della pausa occupavano i primi tre posti della classifica riesce ad ottenere un punto.
Un punto che però, in tutta franchezza, avrebbe potuto benissimo essere moltiplicato per tre, se non fosse stato per l’ennesima amnesia difensiva che ha permesso a Miguel Veloso di riacciuffare la parità e all’Hellas Verona di togliere all’Inter mezzo boccone poco prima di consumare lo spuntino di mezzanotte. Per i nerazzurri è l’ennesima beffa di questa stagione contorta: perché se è vero che in questo periodo, comunque, stiamo assistendo a dei risultati per certi versi inaspettati un po’ su tutti i fronti, i passi falsi recenti dell’Inter fanno sempre un po’ più di rumore. A parte la roboante vittoria ottenuta contro un Brescia apparso inerme e quella rocambolesca di Parma, dalla ripresa del campionato post-lockdown l’Inter ha in sostanza accumulato più amarezze che gioie. Soprattutto, è riuscita più di una volta nell’impresa di buttare nel bidone dell’indifferenziata una caterva di punti, che con un briciolo solo di attenzione in più avrebbero regalato all’Inter ben altra classifica e di conseguenza ben altre prospettive.
Invece, si assiste impotenti al sorpasso da parte dell’Atalanta, l’unica squadra che davvero sembra non conoscere ostacoli, che ha relegato l’Inter al quarto posto in classifica. Tanto quanto basta per lasciar partire considerazioni, a tratti, va detto, spropositate su quello che è stato l’effetto di Antonio Conte sul gruppo nerazzurro in questa sua prima stagione. Giovedì sera, nella calura del Bentegodi, tra battaglioni di zanzare e altri oggetti volanti non meglio identificati, l’Inter per un tempo buono non è sostanzialmente scesa in campo: colpita a freddo dal gol di Darko Lazovic che ha piantato sul posto con una facilità estrema Milan Skriniar per poi infilare in rete un Samir Handanovic non esattamente irreprensibile (e non solo in questa circostanza), non riesce ad imbastire una reazione apprezzabile a parte qualche sprazzo e anzi rischia di capitolare altre volte. Meglio, indubbiamente, nella ripresa, dove perlomeno alcuni giocatori si scuotono, su tutti Roberto Gagliardini e Antonio Candreva, fautore delle reti della rimonta, e l’Inter sembra, almeno questa volta, portare a casa la pratica senza particolari sofferenze.
Fino al colpo a sorpresa di Miguel Veloso che si trova davanti una porzione di porta talmente grande e talmente ghiotta che risulta peccato mortale non approfittarne, bordata all’angolino basso e tanti saluti. Punto nella sostanza più che meritato per la squadra di Ivan Juric ed ennesima serata da dimenticare per la truppa di Conte, finito, come diventa purtroppo logico in circostanze così, nell’occhio del ciclone. Tante le cose che vengono rimproverate al tecnico salentino: dall’eccessivo integralismo tattico, che sta rendendo complicata la vita a Christian Eriksen per il quale ormai le litanie mediatiche e non solo a ogni giro di valzer non sprecano, per proporre uno schema che l'ex vice di Gian Piero Gasperini riesce bene o male ad anestetizzare a tratti con grande facilità, passando per l’eccessiva attesa prima di proporre i cambi, cosa che nell’era delle cinque sostituzioni, delle partite ogni tre giorni e dell’inevitabile deficit fisico da pagare in campo, suona quasi come una bestemmia.
Fino alla convinzione insita in alcuni di non avere portato alcun valore aggiunto a questa squadra, lui che, in virtù non solo della sua fama ma anche e soprattutto per questioni di ‘portafoglio’, è stato da subito dipinto come colui che avrebbe dovuto segnare davvero l’inizio di una nuova era. Come se un cambio radicale nella mentalità fosse qualcosa di consumabile in poco tempo, e in determinati contesti, ma d’altronde siamo nella terra dove il risultato, è cosa nota, influenza tutto e tutti, e la parola progetto è vista quasi come un oltraggio… Non va su tutte le furie, questa volta, Conte dopo l’ennesima occasione gettata al vento, anzi assolve i suoi uomini e parla di squadra che avrebbe meritato di vincere, rimuovendo forse quello che è successo nei primi 45 minuti di match. E poi, fa una cosa che suona perlomeno singolare: si appoggia ai dati, alle statistiche. Per sottolineare comunque che il cammino non è poi così sbagliato, eccolo sciorinare percentuali di possesso palla, di pericolosità in zona offensiva, tutte belle cose che però, per sua candida ammissione, evaporano al sole di luglio di fronte all’assenza di risultati. Esercizio legittimo, per carità, ma che non basta per spiegare quello che sta succedendo a questa squadra. E se proprio di numeri vogliamo parlare, allora è giusto citare anche quelli sull’altro piatto della bilancia: pur da non amante di questo filone dell’analisi calcistica, basta solo un colpo d’occhio per pensare che forse sulla percentuale gol subiti in rapporto alle azioni concesse qualcosa non va. Ancora più lampante è il dato oggettivo dei 20 punti persi da situazione di svantaggio, che questo sì dà davvero l’idea di come si stia sprecando malamente una stagione.
Conte prova a sostenersi coi numeri ma quello su cui dovrebbe concentrarsi adesso è un altro aspetto, ovvero evitare che siano gli altri a dare i numeri. E non si parla qui di pifferai magici o tifosi o presunti tali che si lasciano andare al solito gioco del ‘tagliate la testa al mister’: anni di cambi tecnici a raffica per poi ricadere sempre, pesantemente, negli stessi errori non hanno ancora insegnato nulla, probabilmente. Non hanno fatto capire che forse il problema non è la guida tecnica, quanto le teste da guidare tecnicamente. Quando Conte parla di valutazioni che verranno fatte a fine anno, è altamente auspicabile che dietro questa frase ci sia la volontà di fare davvero selezione all’ingresso per la prossima stagione, cercando di dare il benservito non tanto a quegli elementi che potrebbero creare qualche disfunzione nello spogliatoio, come si è arditamente tentato di fare nell’ultima estate, ma a quelli che dimostrano di non essere in grado di reggere le volontà del proprio tecnico e che magari dimostrano di avere tutto fuorché una mentalità vincente, quelli che magari pensano che il piazzamento Champions sia probabilmente (ahinoi, questa parola rimane sempre d’obbligo) già blindato e allora non ci sia più motivo di affannarsi più di tanto, quando invece dovrebbero capire che arrivare secondi piuttosto che quarti, anche solo per l’immagine di una squadra che sul podio non arriva da nove anni, qualcosa fa, eccome se la fa.
Quando Conte parla di valutazioni che saranno fatte a fine stagione, è auspicabile che l’intento celato dietro queste parole sia effettivamente quello, così come lui auspica che l’appoggio della società possa essere totale, anche perché se così non fosse gli esiti potrebbero anche essere imprevedibili quanto infausti. Ma qui non si parla di volere ‘carta bianca’ come disse qualche anno addietro un altro allenatore ex Juve che usò quella frase per scompaginare a suo piacimento una squadra, per poi autoesonerarsi sbraitando in una sala stampa di uno stadio calabrese e dire di essere sempre stato juventino una volta richiamato alla base; si tratta di volere una squadra degna di tale nome, guerriera nell’animo e vincente nel carattere prima ancora che nell’organico, fatta di nomi degni. Il primo passo, quello che portato all’ingaggio di Achraf Hakimi sul quale Conte ha fatto un pressing asfissiante, è assolutamente positivo. Ma ora, una volta terminata la stagione con l’impegno di Europa League (a proposito: la griglia di partenza è buona, poi ovviamente dipende dal gruppo, sempre tornando al discorso della mentalità), sarà necessario andare avanti tutti su questa strada.
Perché i numeri bisogna vederli solo in campo. E non darli.
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Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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