Dalla prospettiva di Simone Inzaghi, Istanbul, sede del sorteggio nonché della finale di Champions League, è una megalopoli che si estende su tutta la stagione 2022-23 dell'Inter capace di unire con un ponte la corsa scudetto alla competizione più prestigiosa. E non poteva esistere città più metaforica per riportare in auge la teoria tutta italiana secondo cui il percorso europeo sia direttamente collegato al raggiungimento dell'obiettivo massimo in campo nazionale, teoria dimostrata nelle ultime due stagioni di Serie A: nel 2020-21, Antonio Conte, una volta esiliato da tutte le competizioni continentali, cominciò una cavalcata che si concluse con il tricolore alla quota notevole di 91 punti. La storia si è ripetuta appena tre mesi fa con il Milan di Stefano Pioli che, laureandosi campione d'Italia all'ultima giornata proprio a discapito dei cugini, a posteriori si è trovato a benedire l'uscita ingloriosa dal girone di ferro che includeva, in ordine crescente di forza, Porto, Atletico Madrid e Liverpool.

Già, il Liverpool poi finalista a Parigi, che ha certificato un nuovo status oltreconfine dell'Inter condannandola allo stesso tempo a uno sforzo extra in campionato pagato con gli interessi tra febbraio e marzo. Il doppio confronto, da cui Handanovic e compagni sono usciti con la vittoria di Anfield (o di Pirro, se preferite), ha portato con sé la beffa di un'eliminazione giusta ma non così netta come potevano suggerire i pronostici della vigilia, oltre al danno collaterale di un logoramento non messo in conto (l'Inter, in dieci, ha tenuto aperto il discorso qualificazione fino al 90' e oltre della gara di ritorno). "Abbiamo avuto l'ottavo di Champions con il Liverpool che ci è costato tanto a livello mentale e fisico", ha ammesso recentemente il tecnico piacentino, ribadendo un concetto già espresso mesi fa: nessun pentimento per aver 'sacrificato' dei punti sulla strada verso la seconda stella per giocarsela alla pari con i futuri vicecampioni d'Europa. Anzi, l'ex Lazio ha anche aggiunto: "Rifarei il percorso dall'inizio alla fine, in tutto e per tutto". 

Dal 23 maggio scorso è cominciato un nuovo viaggio della Beneamata, certamente intrigata dal superare per la seconda volta di fila le colonne d'Ercole dei gironi ma anche consapevole di partire da una posizione decisamente meno comoda rispetto a un anno fa a livello di ranking UEFA. Senza scudetto sul petto è venuto meno il diritto di far parte dell'élite del Pot 1: la fascia di appartenenza ora è la terza, con il rischio concreto di essere abbinati a due superpotenze in un raggruppamento proibitivo. In questo caso, l'Inter se la giocherebbe comunque a viso aperto, come fatto peraltro al cospetto del Madrid sia a San Siro che al Bernabeu, con la certezza di dover spendere più energie anche solo per ottenere il secondo posto in classifica. Vitale per la reputazione internazionale ma anche per la salute economica del club, a maggior ragione mentre avanza nuovamente in tutto il vecchio continente lo spettro del Fair Play Finanziario. E così, tanto per cambiare, il rumore dei soldi coprirà anche il magico inno di Tony Britten, composto nel 1992 sulla falsariga dello stile di George Frideric Handel. Campo e bilancio, bilancio o campo: la Champions, oggi sacro Graal semi-irraggiungibile per l'Inter, conta solo a livello di ricavi ma può avere riflessi dannosi sull'obiettivo di affermarsi in patria. Insomma, dopo aver vissuto entrambe le esperienze, uscendo ai gironi (due big venduti e addio al tecnico top) e approdando agli ottavi (scudetto perso per due punti), è lecito che l'ambiente nerazzurro pretenda che questa volta non ci sia per forza un prezzo da pagare per le proprie ambizioni. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 25 agosto 2022 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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