Mio padre era interista e sebbene la capacità divinatoria nel pronosticare le X e gli X2 di giornata (schedina che poi saltava per Udinese, Fiorentina o l'inciampo della big di turno in Serie B) difficilmente si sarebbe aspettato un'estate di incertezze come quella che stiamo vivendo oggi, con lo scudetto ancora fresco di cucitura sulle maglie, l'immediato cambio alla guida tecnica e il ritorno alla Pinetina dell'indomito Nainggolan. Secondo amici e testimoni per le vie della città, dava per scontata la conquista del titolo, mentre in videochiamata con me non aveva mai pronunciato la parola magica (forse anche lui seguendo i precetti di Conte), mi aggiornava solo sulla sua tabella di sorpassi e fughe, anticipandomi quando finalmente avremmo visto il Milan non più davanti ma dietro alle nostre spalle.

Non solo per chi ha vissuto l'epoca delle bandiere della Grande Inter può essere arduo comprendere le ragioni che portano oggi un allenatore a lasciare il proprio club subito dopo il trionfo. Certo, c'era già stato Mou, ma lì la trama era diversa. Il portoghese diceva addio all'Inter dopo l'abbuffata di trofei in Italia e in Europa, mentre con Conte la sensazione è che fossimo solo all'antipasto. Dalla squadra ammazza-campionato e vincitrice dello scudetto con quattro giornate d'anticipo si torna ad essere una candidata fra le tante, sono bastati l'addio di Conte e quello imminente di Hakimi. Tra le memorie di mio padre potrebbe essere riaffiorato il ricordo di Roberto Carlos, anche se nel '96 (io avevo 6 anni e ho studiato dai libri di storia di famiglia) la scelta di cedere il brasiliano al Real Madrid fu di Hodgson. Né si può dire che la situazione economica dell'allora presidente Moratti e dell'Inter dipendessero da aiuti statali o dall'arrivo di un grande fondo.

Dicevamo di Mou che torna in Italia alla Roma. Una piazza speciale per un allenatore speciale che evidentemente ha ancora nel cuore il nostro Paese. Nessuno parlerà mai di tradimento, anche se resta il dubbio su cosa sarebbe accaduto se il portoghese avesse atteso ancora qualche giorno prima che anche la panchina dell'Inter rimanesse vacante. Tra i tecnici del dopo Special One il massimo ringraziamento andrebbe dato soprattutto a Spalletti, riuscito a riportare l'Inter "a riveder le stelle". In casa si scherzava sulla filosofia e l'astrattismo del tecnico di Certaldo, che a pensarci bene, insieme alla poesia con cui difendeva i colori del club, si scontrano con la concretezza di obiettivi, la retorica monotona e la fluidità nei legami incarnate da Conte durante la sua esperienza nerazzurra. Due allenatori agli antipodi, con Inzaghi che potrebbe rappresentare la giusta via di mezzo: la fame di vittorie e traguardi sempre più alti unita a fantasia e spensieratezza con cui scendeva in campo la sua Lazio. Spensieratezza nell'accettare la proposta dell'Inter che invece non è stata condivisa da Lotito.

Anche mio padre avrebbe di sicuro approvato la scelta del nuovo tecnico e come tutti noi sarebbe rimasto scosso da quanto accaduto ad Eriksen, calciatore che non aveva fatto in tempo a veder sbocciare nel finale di campionato ma che rappresentava il prototipo di play-maker da lui più apprezzato. Ex regista numero 6 della Gemini, poi telecronista del Vittoria fino alla scalata in Serie C, da giovane lo esasperavano paragonandolo al milanista Rivera per la visione di gioco, precisione nei passaggi e la prontezza di tiro (retroscena che ho scoperto da poco). Senza il danese, a cui vanno ovviamente i migliori auguri slegati da qualsiasi ipotesi legata al calcio, l'Inter di Inzaghi dovrà trovare alternative qualitative a centrocampo. In attacco la certezza è sempre Lukaku (altro vanto di Conte), mentre bisognerà capire come si evolveranno i discorsi sul futuro di Lautaro Martinez. Di sicuro partiranno anche Sanchez e Vidal ma poi qualcuno dovrà scendere in campo. Le idee servono quindi non solo fra i giocatori ed Inzaghi ma anche in ottica mercato. Incassato il no di Radu, il tandem Marotta-Ausilio dovrà riuscire a mantenere alto il livello della rosa, stando attento alla tentazione di fiondarsi sugli svincolati Palacio ed Eder.

Non pronunciavamo mai la parola scudetto, mentre negli anni abbiamo mantenuto un altro rito scaramantico: ad ogni gol un batti cinque, fosse stato Milito, Icardi o Big Rom. Poche partite quelle viste insieme ultimamente a seguito del mio espatrio dall'Italia per motivi professionali, ma ho sempre portato con me ricordi indelebili come la visita da piccolo a San Siro, le esultanze davanti alla tv (accompagnate da qualche arrabbiatura), la stanza che addobbavi di nerazzurro (con tuo ultimo inserimento il poster di Lukaku), i palleggi in spiaggia la scorsa estate. Quando un bambino, vedendoti imperturbabile in costume da bagno, cappello e occhiali da sole mentre alzavi palloni a campanile e proseguivi con destro, sinistro, ginocchio, in una serie infinita sotto il sole, a te ingenuamente domandava l'età e a me con gli occhi stralunati: "Ma quello è tuo padre?". Sì, ed era interista.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 21 giugno 2021 alle 00:00
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
vedi letture
Print