Vittorie come questa, brutte, lente e cattive le abbiamo già viste la scorsa stagione. Ottenute se possibile con fatiche maggiori e patimenti dei tifosi fino all'ultimo secondo di gioco, contro avversari più deboli ma organizzati come a Brescia e Bologna.
L'impostazione di gare come queste è sempre la stessa: gli avversari si chiudono, giocano nella propria metà campo e tentano di approfittare di eventuali indecisioni del centrocampo per costruire occasioni.
Con il Genoa l'Inter ha dominato e rischiato niente, pur trovando poche palle gol rispetto alla mole di gioco.
Il giro palla della squadra nel primo tempo è stato lento e i rifornimenti alle punte asfittici, convincendo sempre più la squadra di Maran che il pareggio fosse possibile.
Nella prima parte di gara le giocate migliori sono state di Eriksen, bravo a trovare Lautaro prima e Darmian poi, con lanci che li hanno pescati in area, Lukaku chiuso in un paio di occasioni e un intervento che sembrava meritare il rigore, senza interessare particolarmente il direttore di gara e il Var.
Il ritmo nerazzurro non ha mai avuto sussulti e ci si aspettava almeno un’accelerazione, un cambio di passo ma il piano partita sembrava prevedere soprattutto pazienza e saggezza. Nella ripresa i genoani hanno tentato di avanzare ma con l’ingresso di Barella e Hakimi sono stati rispediti indietro e battuti con una bella giocata del centrocampista, bravo a dialogare con Lukaku, terminale irrinunciabile, anche in una serata particolarmente opaca fino a quel momento. A dirla tutta i giocatori che hanno avuto maggiori difficoltà sono stati soprattutto i giocatori più offensivi come lui, Lautaro, Eriksen, Perisic e Vidal.
Linee intasate, pochissimi spazi, raddoppi di marcatura e nessun compagno che si liberava dalla marcatura per proporsi. Qualcosa, oltre a questo deve aver innervosito Lautaro, già quando era in campo, poi dopo essere stato sostituito ha dato vita ad un pestaggio alla seggiola della panchina che ne ha rivelato definitivamente il malumore.
L’idea di calcio di Conte passa attraverso l'occupazione della metà campo avversaria, l'ampiezza e la qualità degli esterni, una rapidità di esecuzione nel passaggio (che a Genova non si è vista) e la concretezza sotto porta.
Fare calcio a questi livelli passa da percorsi obbligati che non contemplano situazioni come quelle che hanno stravolto la stagione agonistica passata, la preparazione di quella attuale e il relativo inizio.
Quello che sta accadendo sta condizionando fortemente il lavoro di tutte le squadre, anche con situazioni tragicomiche come quelle di Hakimi, di cui la Uefa dovrebbe rispondere, e crea risultati sorprendenti come la sconfitta del Real con lo Shakhtar, quella del Barcellona col Getafe, la Lazio che ne prende tre a Genova e quattro con l'Atalanta che perde male due volte consecutive in campionato, la Juventus che pareggia a Crotone e tanti altri risultati che parlano di una difficoltà di inizio stagione aumentata esponenzialmente dal calendario, le nazionali, la preparazione e la compressione di due annate intervallate da un solo mese.
Guardare solo all'Inter come se fosse una realtà a parte e giudicare le asperità del suo gioco, così come gli imbarazzi visti col Milan e il Borussia, senza contestualizzare tutto è semplicemente ottuso. Se ogni analisi, ogni approfondimento per spiegare i risultati e l'andamento delle gare dell'Inter devono essere ridotti a termini sterili come “scuse”, “piagnistei” e “giustificazioni”, facciamo prima a guardare solo il risultato e tornare alla PlayStation.
Vale lo stesso discorso per Eriksen, il quale viene giudicato più con un metro ossessivo e sbilanciato che con una visione oggettiva. Sono abbastanza certo che si tratti dell'ennesimo caso che terminerà male come quelli di Bergkamp, Pirlo, Seedorf, Kovacic, Banega, Coutinho e altri finiti in questo meraviglioso club che ha però perso diversi giocatori attribuendo le colpe soprattutto a loro, invece di chiedersi come mai storicamente manchi una cultura del gioco che passa attraverso la predisposizione dell'allenatore di turno piuttosto che la convinzione della società.
La telecronaca di Caressa e Bergomi è stata particolarmente acida verso il danese e, per una volta, sposo il concetto espresso da Conte riguardo la fissazione della stampa e delle tv, rispetto ad un giocatore che viene giudicato senza equilibrio, come a spingerlo verso la cessione.
Difficile dire quanto stia crescendo la squadra ma in una stagione normale, con una distanza di sette giorni tra una gara e l'altra, un ritiro estivo meno affrettato e senza covid, si vedrebbero partite più belle e un'Inter davvero forte. Non è così e la squadra va giudicata in base all'attuale situazione, non come se vivessimo nel 2019 e qua fuori non stesse accadendo nulla.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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