"La leggenda dell'Inter straordinaria di Conte" è ormai un racconto antico che vive solo nella memoria di chi l'ha vissuta. Come in quella di Oriali, il custode di un biennio simbolico che ha cambiato, senza possibilità di smentita, la storia recente dei nerazzurri. Venerdì scorso, 20 agosto 2021, con un comunicato freddo e scarno diramato dal club che annunciava il sollevamento dall'incarico di Lele dal ruolo di First Team Technical Manager, si è concluso ufficialmente un capitolo in cui, come tenne a sottolineare King Antonio nel giorno del suo addio, "è stata spezzata la logica della mediocrità" che attanagliava la Beneamata da troppo tempo.
L'eredità lasciata dal duo composto da due vincenti per natura nelle mani di Simone Inzaghi è ben visibile sul petto delle nuove divise nella forma dello scudetto che impone una responsabilità importante, annacquata da un calciomercato condotto sotto il segno del ridimensionamento. Sentir parlare di Inter più 'profonda' perché ha sostituito un totem come Romelu Lukaku con Edin Dzeko e Joaquin Correa (manca solo l'ufficialità) è un'offesa all'intelligenza di chi al tramonto di maggio già pregustava l'avvio di un lungo ciclo glorioso. Il che non vuol dire che la squadra, orfana anche di Achraf Hakimi, sia ripiombata nella modestia del periodo pre-spallettiano; molte delle intuizioni felici di Suning e della dirigenza arrivate prima dell'avvento del tecnico leccese sono rimaste intatte in questi mesi turbolenti. Stefan de Vrij e Milan Skriniar, per esempio, due colonne su cui si regge l'impalcatura della squadra da anni, sono delle certezze che vanno al di là del corso di questo o quell'allenatore. Stesso discorso per Marcelo Brozovic (perno insostituibile da quando proprio Lucio l'ha schierato come play) e Lautaro Martinez, passato dall'essere vice-Icardi a uomo copertina dell'attacco in tre stagioni. Ecco perché meriti e annessi demeriti vanno equamente distribuiti senza fermarsi al risultato finale, comunque ascritti dal 2016 in poi alla famiglia Zhang. E' altrettanto vero che, in questo quinquennio, il vero uomo di rottura è stato Conte, capace di issare il Biscione, reduce da due quarti posti faticosi, al secondo e primo posto, con in mezzo una finale di Europa League conquistata. "A Conte deve essere riconosciuto il merito per averlo conquistato, lo scudetto, e per il lavoro fatto che ha riportato il club nel suo habitat naturale", ha spiegato Oriali rompendo il silenzio ieri nell'intervista a Sportmediaset. Una chiacchierata nella quale è rimasto decisamente abbottonato, al contrario di quella rilasciata alla Gazzetta dello Sport lo scorso 21 maggio. In quella circostanza, l'ex mediano entrò in tackle criticando il modus operandi della proprietà cinese, incapace – a suo dire – di programmare il futuro, impelagata com'era nelle note difficoltà finanziarie. La prima versione ufficiale uscita dallo spogliatoio, ermetico fino ai coriandoli tricolore, non si è discostata molto dalla realtà guardando ciò che è accaduto in seguito. L'impressione netta è che Steven Zhang abbia subito gli eventi più che dominarli, salvato solo dall'abilità di Beppe Marotta di scegliere in poche ore il miglior successore possibile di Conte tra quelli accessibili, quel Simone Inzaghi al quale è stato affidato il compito di difendere il titolo di campione d'Italia con tutti gli alibi del caso. Ecco perché l'ex Lazio non fa proclami relativamente agli obiettivi stagionali, che rimangono ambiziosi perché non è stata fatta tabula rasa. In questo senso, sono da certificare le parole di Oriali pronunciate tre mesi fa: "E' stato creato qualcosa di importante che può durare nel tempo".
L'onda lunga è proseguita almeno fino alla prima giornata della Serie A 2021-22, dove i nerazzurri sono stati travolgenti contro un Genoa senza capo né coda. Un 4-0 figlio sicuramente dei vecchi codici contiani (la costruzione a tre dietro con Handanovic) ma anche di alcune novità inzaghiane, la cui bontà andrà saggiata in test più probanti. Quel che traspare a una prima impressione, ovviamente parziale, è che l'Inter in questa stagione dovrà manovrare di più soprattutto nella metà campo avversaria per creare occasioni, appoggiandosi sul regista d'attacco Dzeko con trame di centrocampo cucite da giocatori dinamici e geometrici come Barella, Brozovic e Calhanoglu. Sperando che Sensi duri, perché per questo gioco è fondamentale, e che Vidal – finalmente lontano dalla sua area di rigore – possa tornare a essere decisivo anche in zona gol al pari di Vecino che il vizietto non l'ha mai perso. Il Tucu, altra richiesta di Inzaghi, probabilmente sarà una soluzione dalla panchina, al contrario di quanto succedeva alla Lazio, anche perché il Cigno di Sarajevo, il cui unico difetto è la carta d'identità, è già il centro di gravità. E con ogni probabilità l'elemento che più di tutti determinerà la dimensione definitiva della nuova versione interista del post Conte e Lukaku. Che, per quanto 'possa trovarsi a occhi chiusi' come ha fatto notare Mourinho, deve imparare ad aprirli per capire il reale valore delle sue avversarie e trovare una nuova strada verso la seconda stella.
L'eredità lasciata dal duo composto da due vincenti per natura nelle mani di Simone Inzaghi è ben visibile sul petto delle nuove divise nella forma dello scudetto che impone una responsabilità importante, annacquata da un calciomercato condotto sotto il segno del ridimensionamento. Sentir parlare di Inter più 'profonda' perché ha sostituito un totem come Romelu Lukaku con Edin Dzeko e Joaquin Correa (manca solo l'ufficialità) è un'offesa all'intelligenza di chi al tramonto di maggio già pregustava l'avvio di un lungo ciclo glorioso. Il che non vuol dire che la squadra, orfana anche di Achraf Hakimi, sia ripiombata nella modestia del periodo pre-spallettiano; molte delle intuizioni felici di Suning e della dirigenza arrivate prima dell'avvento del tecnico leccese sono rimaste intatte in questi mesi turbolenti. Stefan de Vrij e Milan Skriniar, per esempio, due colonne su cui si regge l'impalcatura della squadra da anni, sono delle certezze che vanno al di là del corso di questo o quell'allenatore. Stesso discorso per Marcelo Brozovic (perno insostituibile da quando proprio Lucio l'ha schierato come play) e Lautaro Martinez, passato dall'essere vice-Icardi a uomo copertina dell'attacco in tre stagioni. Ecco perché meriti e annessi demeriti vanno equamente distribuiti senza fermarsi al risultato finale, comunque ascritti dal 2016 in poi alla famiglia Zhang. E' altrettanto vero che, in questo quinquennio, il vero uomo di rottura è stato Conte, capace di issare il Biscione, reduce da due quarti posti faticosi, al secondo e primo posto, con in mezzo una finale di Europa League conquistata. "A Conte deve essere riconosciuto il merito per averlo conquistato, lo scudetto, e per il lavoro fatto che ha riportato il club nel suo habitat naturale", ha spiegato Oriali rompendo il silenzio ieri nell'intervista a Sportmediaset. Una chiacchierata nella quale è rimasto decisamente abbottonato, al contrario di quella rilasciata alla Gazzetta dello Sport lo scorso 21 maggio. In quella circostanza, l'ex mediano entrò in tackle criticando il modus operandi della proprietà cinese, incapace – a suo dire – di programmare il futuro, impelagata com'era nelle note difficoltà finanziarie. La prima versione ufficiale uscita dallo spogliatoio, ermetico fino ai coriandoli tricolore, non si è discostata molto dalla realtà guardando ciò che è accaduto in seguito. L'impressione netta è che Steven Zhang abbia subito gli eventi più che dominarli, salvato solo dall'abilità di Beppe Marotta di scegliere in poche ore il miglior successore possibile di Conte tra quelli accessibili, quel Simone Inzaghi al quale è stato affidato il compito di difendere il titolo di campione d'Italia con tutti gli alibi del caso. Ecco perché l'ex Lazio non fa proclami relativamente agli obiettivi stagionali, che rimangono ambiziosi perché non è stata fatta tabula rasa. In questo senso, sono da certificare le parole di Oriali pronunciate tre mesi fa: "E' stato creato qualcosa di importante che può durare nel tempo".
L'onda lunga è proseguita almeno fino alla prima giornata della Serie A 2021-22, dove i nerazzurri sono stati travolgenti contro un Genoa senza capo né coda. Un 4-0 figlio sicuramente dei vecchi codici contiani (la costruzione a tre dietro con Handanovic) ma anche di alcune novità inzaghiane, la cui bontà andrà saggiata in test più probanti. Quel che traspare a una prima impressione, ovviamente parziale, è che l'Inter in questa stagione dovrà manovrare di più soprattutto nella metà campo avversaria per creare occasioni, appoggiandosi sul regista d'attacco Dzeko con trame di centrocampo cucite da giocatori dinamici e geometrici come Barella, Brozovic e Calhanoglu. Sperando che Sensi duri, perché per questo gioco è fondamentale, e che Vidal – finalmente lontano dalla sua area di rigore – possa tornare a essere decisivo anche in zona gol al pari di Vecino che il vizietto non l'ha mai perso. Il Tucu, altra richiesta di Inzaghi, probabilmente sarà una soluzione dalla panchina, al contrario di quanto succedeva alla Lazio, anche perché il Cigno di Sarajevo, il cui unico difetto è la carta d'identità, è già il centro di gravità. E con ogni probabilità l'elemento che più di tutti determinerà la dimensione definitiva della nuova versione interista del post Conte e Lukaku. Che, per quanto 'possa trovarsi a occhi chiusi' come ha fatto notare Mourinho, deve imparare ad aprirli per capire il reale valore delle sue avversarie e trovare una nuova strada verso la seconda stella.
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