La profezia teutonica di Robin Gosens, che senza curarsi della scaramanzia ha parlato di scudetto garantito dopo il successo esterno con la Juve, si è immediatamente scontrata con l'Epifania del dall'Ara che ha costretto l'Inter a riconsiderare ufficialmente se stessa come inseguitrice del Milan di fronte al sanguinoso ko col Bologna, vero arbitro della corsa tricolore dopo aver annullato il match point ai rossoneri lo scorso 4 aprile.
A quasi quattro mesi dalla gara fantasma rinviata a oltranza prima per il Covid e poi per i ricorsi, i nerazzurri capiscono l'antifona già dalla vigilia quando i felsinei – che a gennaio erano ridotti ai minimi termini – recuperano persino Gary Medel, totem della difesa a tre di Sinisa Mihajlovic, grazie al dimezzamento della squalifica rimediata per aver gridato in mondovisione la sua frustrazione per un favore concesso, a suo dire, alla Juve. Nel mentre, Simone Inzaghi deve fare i conti con varie defezioni per compilare una distinta più corta del solito: prima dichiara forfait Robin Gosens, aggiungendosi ai già indisponibili Felipe Caicedo e Arturo Vidal; in seguito, nelle ore immediatamente antecedenti alla sfida più importante dell'anno, devono alzare bandiera bianca Alessandro Bastoni e – grande sorpresa – pure Samir Handanovic, fermato da una contrattura dell'obliquo esterno dell'addome. Segnali inquietanti che la Beneamata sembra riuscire a scacciare con il fulmine che Ivan Perisic, al 3', scaglia in porta battendo Łukasz Skorupski. L'1-0 è il preludio a un monologo nerazzurro che dura un tempo intero, interrotto da una pennellata di rossoblu vivo dell'ex Marko Arnautovic che non deve nemmeno saltare per sovrastare il piccolo Federico Dimarco (il sostituto di Bastoni, guarda un po') e imbucare il pari di testa. Ci risiamo: Inter ingiocabile, chance create a volontà, ma al duplice fischio il punteggio dice che la contesa è in equilibrio. La situazione perfetta per i padroni di casa, abili a giocare corti per poi pungere nei rari contropiedi orchestrati sull'asse Barrow-Arnautovic. Proprio i due combinano al 57' facendo suonare il primo allarme che dalla panchina Inzaghi interpreta così: giochiamoci il tutto per tutto, se attacchiamo in dieci è meglio farlo con chi lo fa di mestiere. Automatico, quindi, l'ingresso di Alexis Sanchez che va a completare il trio offensivo con Edin Dzeko, entrato al posto di Joaquin Correa (evanescente), e Lautaro Martinez. Film già visto contro il Sassuolo, anche se lì serviva rimontare due gol. Qui all'Inter basterebbe una stoccata dei tanti uomini che vanno a riempire a turno l'area di rigore del Bologna, che in queste situazioni ci sguazza tanto da aver costretto la Juve a farsi andare bene un pari in 9 vs 11 per diversi minuti.
L'Inter non trova la scintilla, l'episodio che le farebbe svoltare non solo la gara ma anche la stagione e pian piano perde l'autostima di cui riesce solitamente ad alimentarsi scioriando un calcio armonioso (moderno, non anni '60). Impraticabile se manca la profondità e il peso del tempo comincia a gravare sulle spalle di una squadra che, da qualsiasi punto la si guardi, si è messa nella condizione scomoda di dover vincere per la terza volta in 34 giornate la seconda stella, caduta dalla tasca dopo quel ribaltamento improvviso nel derby di ritorno. E' ancora quel 2-1 firmato Olivier Giroud a fare la differenza a livello matematico: all'asterisco del recupero ora si sostituisce quello degli scontri diretti a favore del Diavolo che a quattro turni dal traguardo ha due punti di vantaggio da amministrare. A Stefano Pioli, insomma, 'basterà' vincerne tre e pareggiarne una per laurearsi campione d'Italia. Con un ringraziamento sentito a Ionut Radu, la 'vittima sacrificale' del turnover a targhe alterne di Inzaghi che con un assist suicida ha spalancato la porta per il 2-1 di Nicola Sansone, l'autore insospettabile dell'ennesimo colpo di scena di un campionato che non vuole regalare certezze.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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