Il 3 giugno 2021 è iniziata, il 3 giugno 2025 è finita. Neanche uno sceneggiatore appassionato di simbologia e numerologia avrebbe potuto immaginare di chiudere in modo così perfetto una parentesi. Quattro anni insieme a Simone Inzaghi, che con coraggio aveva raccolto la pesante eredità di Antonio Conte e con altrettanto coraggio ha accettato di cambiare completamente vita dopo la cocente e difficilmente digeribile delusione in Champions League. Da ieri il binomio tra l'allenatore piacentino e il club nerazzurro si è definitivamente interrotto, con il primo che andrà ad allenare l'Al-Hilal già al Mondiale per Club e il secondo che dovrà trovare rapidamente un sostituto proprio per il Mondiale per Club. Con il rischio concreto di potersi incrociare negli USA, altro potenziale colpo di scena cinematografico.
Spiaze, come direbbe Inzaghi, che la storia finisca così. Perché al di là degli ossessionati dal trofeo, in questo quadriennio ci siamo divertiti tantissimo a guardare la sua Inter. E probabilmente anche i più critici nei suoi confronti dovranno riconoscere che la squadra nerazzurra non si sia mai espressa in campo come da quando la allena lui. Il famoso bel gioco, quello che ti invoglia ad andare allo stadio o ad abbonarti alla paytv a prescindere dal risultato finale, quello che evidenzia le qualità di un allenatore, in linea di massima non è mai mancato. Certo, alcune partite sono state interpretate nel modo sbagliato, basti pensare all'ultima. Ma a Inzaghi va riconosciuto che in Italia il calcio migliore l'ha proposto la sua squadra, pur non raccogliendo quanto si potesse sperare. Però la capacità di esaltare il singolo attraverso il gioco di squadra, invece del contrario come succede nelle migliori famiglie europee, è un dettaglio non da poco che sottolinea l'ottimo lavoro svolto tra le mura del Training Centre di Appiano Gentile. A cui vanno aggiunte, qualità non comuni, l'educazione, il rispetto, la pacatezza e la disponibilità dell'uomo prima che del professionista.
Inzaghi ha portato con sé in dote sei titoli, tra cui lo Scudetto della seconda stella che lo rende indimenticabile, ma ha anche riposizionato l'Inter nella cartina geografica delle squadre che contano in Europa, prendendola dai margini e portandola sul podio. Ha permesso, con i risultati sul campo, di risollevare le finanze del club, disastrate dopo il Covid. Ha strappato i complimenti di chiunque capisca di calcio, oltre confine visto che in Italia l'antipatia verso l'Inter ha offuscato parecchie menti al punto da ignorarne i meriti e sottolinearne le mancanze. In poche parole, è andato ben oltre quello che ci si potesse aspettare da lui quel lontano 3 giugno 2021. Ed è un vero peccato, quasi un'offesa, che la sua ultima partita alla guida dei nerazzurri sia stata l'infausta finale di Monaco di Baviera. Un pugno in pieno volto che probabilmente lo ha fatto vacillare al punto da decidere di cambiare totalmente aria.
Difficile credere che la sua decisione sia maturata durante l'incontro di ieri pomeriggio con la dirigenza. Quello è stato un modo per dirsi addio faccia a faccia, guardandosi negli occhi. Probabilmente il peso di questi quattro anni così intensi lo ha piegato al punto da salire sul primo treno concreto che passava, un treno d'oro ci mancherebbe, a cui qualunque essere umano avrebbe fatto fatica a dire no. Soprattutto se consapevole del fatto che erano già iniziati, nella sua testa, i titoli di coda della splendida pellicola milanese, piena di emozioni positive ma anche negative, certamente degna di un premio della critica. Il Demone di Piacenza vivrà ora la munifica esperienza nella Saudi League, allenando giocatori di un certo livello in un campionato che però non sarà di un certo livello, com'è noto a chi la segue da tempo. Magari un giorno tornerà in Europa, magari proprio all'Inter, più riposato, più esperto, più ricco e più motivato. Ma sarebbe un sequel non ancora in programma.
Oggi, anche chi non lo vorrà mai ammettere per partito preso, noi interisti siamo tutti un po' orfani di chi per anni è stato il nostro punto di riferimento. La speranza è che la dirigenza sia altrettanto reattiva come quattro anni fa da trovare un degno sostituto, che abbia l'umiltà di entrare in punta di piedi, senza rovinare quanto costruito da chi l'ha preceduto, aggiungendo un po' di sé un po' alla volta e facendosi aiutare dai veterani dello spogliatoio, quelli che rimarranno. Non c'è molto tempo, il Mondiale per Club va affrontato seriamente e non come un torneo estivo da quattro soldi, soprattutto dopo l'ultima immagine lasciata agli occhi del mondo.
Intanto, vale la pena ricordare quello che disse Steven Zhang dopo la vittoria del 20esimo Scudetto: "Al nostro grande mister, Simone Inzaghi, e tutto il suo staff: grazie Simone. Sei un regalo per me durante la mia presidenza". Parole quanto mai azzeccate. Perché per gli interisti il Demone è stato un regalo, inatteso, in un momento di sconforto. E ce lo siamo goduti. Ora guardiamo avanti senza voltarci indietro: conta solo l'Inter.
Grazie per le emozioni che ci hai dato Simone, buona vita.
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