Esistono ancora giornalisti in Italia che possono parlare liberamente di calcio? Oppure anche in questo settore ormai bisogna essere allineati al potente di turno? Chiedo per me e non per un amico, considerando che - dopo 20 anni di professione - non avrei ancora intenzione di smettere.

La domanda sorge spontanea (come diceva qualcuno di estremamente famoso diversi anni fa) se con la mente torniamo a quanto accaduto qualche giorno addietro durante il post-gara di Juventus-Nantes, gara di Europa League. Negli studi di Sky si presenta un Massimiliano Allegri particolarmente carico, evidentemente consapevole di dover rendere conto dell'ennesima figuraccia della sua squadra. Il tecnico bianconero parte piano ma poi arriva dove vuole lui, quando vuole lui, prendendo a pretesto una normalissima domanda del collega Stefano De Grandis. Lo show, pessimo, messo in mostra da Allegri è noto. Ma a fare impressione è soprattutto la ricezione supina dello studio di Sky, composto da giornalisti ed ex giocatori (Bergomi e Del Piero). 

Il povero De Grandis prova a imbastire un dibattito civile, ma senza risultato. Ne viene fuori uno spettacolo deprimente, con un Allegri sgangherato e il resto in silenzio. La domanda è: qual è oggi il ruolo del giornalista sportivo italiano che tratta l'argomento calcio? Possibile sia diventato tanto marginale? Reggi-microfono e basta? L'ingresso prorompente sulla scena di ex calciatori e il progressivo scemare della competenza di una buona fetta della categoria ha sicuramente prodotto la situazione attuale. Ma questi due elementi non bastano a spiegare tutto. Tra luoghi comuni elargiti quotidianamente, nessuna voglia di approfondire, mancanza di aggiornamento e attenzone al portafoglio, la figura del giornalista calcistico è sempre più assimilabile a quella del piazzista e sempre meno a quella del comunicatore, di colui che racconta storie, che fa cronaca e anche opinione, che genera dibattito, chi risulta finanche fastidioso per il desiderio di cercare ostinatamente la verità. Quella verità che costringe tutti a guardarsi allo specchio e a riconoscersi un po' più ignoranti.

Oggi, per molti (troppi) l'unico obiettivo è quello di accondiscendere l'interlocutore che poi, indirettamente, è anche colui con il quale si ha un rapporto di tipo economico, tra sponsor e legacci vari. Qualcuno lo chiama "servilismo". Il giornalismo che pensa a fare soldi non è più giornalismo. Il giornalismo deve dare notizie e non produrre profitti. Invece oggi va così. E allora reggi il microfono. E zitto. 

Sezione: Editoriale / Data: Mar 21 febbraio 2023 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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