È cambiato tutto dopo Juve-Inter 3-2. Gianpaolo Calvarese, per esempio, non è più in attività, anche se non ha appeso il fischietto al chiodo per colpa dell'assurdo rigore assegnato per fallo inesistente di Ivan Perisic su Juan Cuadrado che ne ha irrimediabilmente macchiato la carriera. Confermata, invece, la presenza di Massimiliano Irrati, quel 15 maggio silente al VAR, nascosto dietro lo scudo dell'errore 'chiaro ed evidente' che lo portò a non intervenire per invertire la decisione del collega che avrebbe messo nei guai i bianconeri in ottica qualificazione Champions. Domenica sera, l'arbitro più tecnologico del Mondiale 2018 si cambierà d'abito e scenderà in campo per gestire in prima persona la partita clou della 31esima giornata di Serie A, a due settimane dal derby capitolino condotto in porto con la solita autorevolezza. Il direttore di gara di Pistoia ha esperienza a sufficienza per non farsi condizionare dal contesto attorno al campo, 40mila tifosi, tutti bianconeri per l'assenza della Curva Nord nerazzurra, che gremiranno le tribune dello stadio che nell'ultimo appuntamento a Torino ospitavano giusto i dirigenti dei due club. Compreso Steven Zhang che, qualche giorno prima del derby d'Italia, aveva ricevuto i complimenti pubblici dall'omologo Andrea Agnelli per la conquista del primo, storico scudetto da presidente: "Ben fatto, Steven! Felice per te e orgoglioso di essere stato vostro leale avversario in campo e amico fuori", scrisse su Twitter il numero uno della Vecchia Signora. Prima di lanciare la sfida ai campioni d'Italia che interruppero l'egemonia nazionale dopo nove lunghissimi anni, anche grazie alle scelte aziendali di Beppe Marotta: "Torneremo...".
Una profezia che non si è avverata in questa stagione, a ribadire che nulla è stato più come prima dopo quella partita che all'epoca sembrava significare poco, soprattutto per la squadra di Conte, la cui fame vorace era stata saziata da un tricolore vinto con larghissimo anticipo rispetto alla linea del traguardo. Re Antonio d'Italia sarà il grande assente dell'Allianz Stadium, che gli avrebbe riservato non certo un trattamento di favore al suo ritorno a casa da 'rivale'; mancherà anche il suo discepolo Romelu Lukaku, che in realtà con la Juve ha sempre fatto scena muta, a parte il rigore inutile di quel famigerato 3-2. Marcherà visita, infine, Cristiano Ronaldo, l'unico vero campione che ha giocato nel nostro campionato da troppo tempo a questa parte. Inutile infierire sul movimento pallonaro italico in questi giorni tragici per la Nazionale azzurra, ma l'assuefazione alla mediocrità che si respira - dopo un'estate a guardare impotenti la migrazione dei pochi top player nostrani in altri tornei – è simboleggiata alla perfezione dalla restaurazione che Massimiliano Allegri non è riuscito a portare in una Serie A ridimensionata. Anzi, all'allenatore più vincente in circolazione dalle nostri parti viene perdonata un'annata ben al di sotto delle aspettative reali della rosa che guida, con l'aggravante di un'umiliante eliminazione in Champions e la sconfitta in finale di Supercoppa italiana proprio per mano della Benemata.
Il quarto posto attuale della Juve, dopo quello faticosissimo conquistato all'ultima giornata l'anno scorso, ribadisce che nell'ultimo triennio non c'è mai stato vero dualismo con l'Inter per i piani alti della classifica, semmai un semplice passaggio di testimone all'atto della caduta del vecchio impero che, come tutti quelli che si rispettano nella storia dell'uomo, si è autodistrutto. Nei fatti, l'ingaggio di Pirlo per smentire la mal sopportata filosofia portata a metà da Sarri alla Continassa, e contemporaneamente nei pensieri e nelle parole, condensate perfettamente dalle dichiarazioni del Conte Max: "L'Inter è la favorita per lo scudetto, di solito lo è chi vince", disse a luglio esibendosi nella pratica del manivantismo molto in voga nel belpaese. Ha continuato a ripeterlo alla nausea fino a poche settimane fa quando – smentito dagli eventi – ha dovuto aggiungere le candidature di Milan e Napoli. Senza mai includere la Juve che, evidentemente, lo ha messo a libro paga come tecnico più pagato d'Italia per confermarsi semplicemente nella top 4. Intanto, la stampa batte la grancassa per vendere la sfida del 3 aprile come quella del possibile sorpasso sul gradino più basso del podio, virtuale (almeno fino al 27 aprile, giorno di Bologna-Inter) come il bisogno di dare valore a uno Juve-Inter che attorno alle 23 di domenica sera potrebbe non averne in chiave primo posto. A meno che a Simone Inzaghi, tecnico che prima di essere ribaltato dal Milan nel derby aveva uno scudetto cucito sul petto e uno nuovo di zecca in tasca, non riesca l'impresa di fare il colpaccio. Senza obblighi, ovviamente, perché anche l'Inter – smontata e rimontata ad agosto tra campo e panchina – non è stata costruita con l'obbligo di vincere la seconda stella. E' questa l'amara verità prima della classicissima: è cambiato (quasi) tutto, l'unica cosa che rischia di rimanere identica a dieci mesi fa è l'importanza relativa del risultato finale nell'economia della corsa tricolore.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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