"Una cosa è giocare una partita con responsabilità, un'altra viverla come un'ossessione. Questo non fa per noi. Noi vogliamo andare dietro il nostro sogno, per loro la finale è un'ossessione e la differenza è molto grande". Le parole in questione uscirono dalla bocca di José Mourinho il 27 aprile del 2010. Era la vigilia della semifinale di ritorno di Champions League contro il Barcellona, in un Camp Nou che infuocava l'ambiente inneggiando alla 'Remuntanda' poi consumata con l'inutile gol di Piqué che spediva l'Inter alla conquista del leggendario Triplete sotto il cielo di Madrid. Se a quei tempi sulla panchina interista comandava lo Special One, su quella blaugrana c'era invece Pep Guardiola, attuale tecnico del Manchester City e filo conduttore dei due sogni nerazzurri, temporalmente posti a 13 anni di distanza l'uno dall'altro. 

Già, sogno. Perché per l'Inter, su cui nessuno avrebbe mai scommesso un euro al momento dei sorteggi della fase a gironi con Bayern Monaco e Barcellona, aver raggiunto la finale di Istanbul si traduce così: sogno. Una parola chiave che è uscita dalla bocca dei diretti interessati, anche nell'intenso Media-Day che ha animato Appiano Gentile ad inizio settimana, da tutte le componenti societarie: dalla dirigenza, dallo staff tecnico e, ovviamente, da chi scenderà in campo a giocarsi un pezzo di storia sabato sera all'Atatürk Olympic Stadium di Istanbul.

A parlare di sogno ci ha infatti pensato Simone Inzaghi nell'immediato post partita di Torino ("Negli ultimi mesi abbiamo fatto cose straordinarie, abbiamo sistemato il campionato e siamo rientrati in Champions, abbiamo vinto trofei e siamo arrivati a realizzare il sogno della finale. Ora andremo a giocarcela con le nostre armi, sapendo che incontreremo una squadra di assoluto valore"), mentre lunedì è stato il turno dell'ad Beppe Marotta ("Di fioretti però sicuramente potrei farne anche due nel momento in cui si definisce quello che è un sogno. Oggi è un sogno nel cassetto e i sogni spesso diventano realtà, speriamo che sia così"). Ma anche di Lautaro Martinez ("Abbiamo vinto tanti trofei e ora affrontiamo un sogno che è realtà perché siamo lì a un passo"), Alessandro Bastoni ("È un sogno che in pochi pensavamo di raggiungere quest'anno. Siamo onorati di scendere in campo per l'Inter"), Romelu Lukaku ("Speriamo di realizzare il sogno di tutti gli interisti nel mondo"), Matteo Darmian ("Piano piano questo sogno si è concretizzato e siamo contenti") Francesco Acerbi ("È un sogno che si vuole realizzare a tutti i costi").

Quella parolina magica è stata pronunciata anche due interisti doc come Nicolò Barella e Federico Dimarco, che meritano un paragrafo a parte. Perché se per il sardo essere in finale con i colori nerazzurri cuciti addosso "è un sogno che si è realizzato", anche se "ora bisogna portare quel sogno ad un livello superiore e cercare di vincere la coppa", per Dimash è stato inevitabile citare senza mezzi termini quel virgolettato di Mou datato 2010: "Sappiamo che sono forti, ma per noi è un sogno e per loro un'ossessione". E allora, come citava la coreografia della Curva Nord al Bernabeu proprio quel famoso 22 maggio 2010 di Madrid, "...E ora, insieme, coroniamo il sogno". 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 07 giugno 2023 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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