Ormai ci dovremmo essere abituati, eppure la cosa continua a destare clamore. A ogni gol di Coutinho, scatta il sentimento nazionalpopolare che crocifigge l'Inter. I meno critici si limitano alla malinconia, mentre i più accaniti si imbufaliscono parlando di incompetenza e poca lungimiranza. Dimenticando totalmente di storicizzare e, soprattutto, di soppesare seriamente i fatti.

Sgombriamo il campo da equivoci: Coutinho è un grande giocatore? Sì, lo è. E per saperlo non bisogna aspettare che segni un gol alla Svizzera nei Mondiali o che venga pagato 120 milioni più 40 di bonus dal Barcellona. Ma da qui a mettere alla gogna la società nerazzurra ogni qualvolta il buon Philippe si prende le copertine dei giornali ce ne passa. L'Inter fu bravissima nell'andare a pescare il suo talento ancora bambino, portandoselo più tardi a casa per la modica cifra di 3,5 milioni di euro nell'estate del 2010. Cou aveva 18 anni e il suo potenziale era intuibile. L'addio nel gennaio 2013 fu dettato da esigenze di bilancio (maledetto FFP Uefa...) e tecniche: con i suoi 10 milioni (più 3), i nerazzurri si aprirono la possibilità di mettere le mani su Mateo Kovacic (pagato alla Dinamo Zagabria 11 milioni più 4). Scelte, come se ne fanno tante. Cosa si dovrebbe dire allora di chi lascia andar via Roberto Carlos, Henry, Vieira, Samuel, Cambiasso o Pirlo?

Con tutto il rispetto, Coutinho è sì un signor giocatore, ma non è assolutamente quel crack mondiale che in tanti vogliono far passare. Il tormentone "ci siamo lasciati scappare Coutinho" è tornato in auge dopo il gol alla Svizzera: grandissima rete, per carità, ma poi? Il Brasile è rimasto intrappolato da Petkovic anche a causa della prestazione poco illuminante dello stesso Cou, non propriamente dentro il match al pari di Willian e Neymar. Per cui, calma. Non stiamo ragionando di Messi o di Cristiano Ronaldo. E neppure di Bergkamp. E poi se oggi il numero 11 del Brasile è quello che è lo deve al percorso che ha avuto. Nessuno può dirci cosa sarebbe successo se fosse rimasto a Milano. Avrebbe avuto la stessa crescita? Chissà. Si sarebbe bruciato? Può darsi.

Il punto è che quello del revisionismo sulle scelte societarie nerazzurro sta diventando sempre più una moda, un malvezzo, molto presente anche negli stessi tifosi interisti. E qui arriviamo all'attualità del mercato odierno, con i vari Rafinha e Cancelo al centro del dibattito quotidiano. Per il pensiero del tifoso-medio, fino a gennaio, Rafinha era un bidone rotto che non andava preso, mentre Cancelo uno che non sapeva difendere e che non era titolare neppure in uno dei Valencia peggiori degli ultimi 20 anni. Ora, invece, come d'incanto, entrambi sono diventati imprescindibili. E chissenefrega dei paletti del Fair Play Finanziario: "Bisogna riskattarliiiii!!!11!1!11!!". Per fortuna, chi gestisce il club ha una visione più dettagliata e meno impulsiva delle cose.

C'è vita oltre Cancelo e Rafinha. Così come c'è stata vita oltre Ibrahimovic, Ronaldo, Matthäus e Zenga. Figurarsi se non ci può essere vita oltre Coutinho.

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Sezione: Editoriale / Data: Mar 19 giugno 2018 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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