È chiaro che il sentimento ieri sera era un po' scisso a metà, perché il Pordenone che se la gioca fino al quattordicesimo rigore a San Siro, dopo giorni e giorni di un sagace avvicinamento social alla sfida irreale, è una bella storia e ha lasciato senz'altro del calore in chi ha assistito all'evento e alla sua cornice, al netto di quelle banali amenità che alle belle storie si accompagnano con irritante puntualità. I sentimenti, si è detto, restano però un fatto di ieri sera, perché poi subentra la lucidità, la consapevolezza di una serata non positiva e qualche misurato interrogativo suscitato da quanto si è visto e non si è visto in campo. Partiamo da qui: nel calcio, quel calcio che sovente ricorda a tutti come in fondo non appartenga affatto al novero delle scienze esatte, non esiste LA spiegazione, IL motivo. Più giusta, semmai, appare l’idea di un insieme di ragioni, delle quali l’una è preponderante sulle altre, ma le altre concorrono eccome alla realizzazione e all’esito del fatto sportivo.
CON LA TESTA - Chi scrive, è portato a credere che la brutta figura rimediata dall’Inter nella sfida col Pordenone sia primariamente ascrivibile a un meccanismo mentale. Per carità, tale meccanismo è limpido e banale nelle sue cause e nel suo funzionamento e, in quanto tale, era ampiamente preventivabile alla vigilia. Lo stesso Padelli, parlando a Inter TV prima della partita, aveva promesso concentrazione e la proverbiale “testa giusta”, e si è poi ben visto come della testa giusta potessero vantarsi soltanto le sue spalle, insieme a quelle di pochi altri eletti. Certo, è chiaro a tutti che il grande sottovaluta il piccolo e che Polifemo, nel momento in cui è crollato dal sonno per la sbronza, non immaginava cosa avrebbe potuto fargli Ulisse con quelle pulci dei suoi compagni; essendo un motivo ben noto, e spesso illustrato dai numerosi casi in cui, nel calcio e in ogni altro sport, la matricola ha la meglio sul campione, ci si attende che il più forte si premunisca contro questo rischio, e insomma affronti la sfida impari coi piedi di piombo e la paura che si riserva a chi ha più fame di te. Chiacchiere. Certi meccanismi non si controllano a comando. La sottovalutazione non si realizza per forza quando il favorito entra in campo con piglio da sbruffone, petto gonfio e sorriso da ebete stampato in faccia. Piuttosto, è sottovalutazione quando il ragazzo meno impiegato tenta la giocata di cui non è sicuro, convinto com’è che in qualche modo sia obbligato ad andare oltre i limiti perché, altrimenti, tutti crederanno che ha semplicemente fatto il suo contro un avversario modesto. Karamoh –e gli si vuole bene, perché il francese ha enormi margini di crescita– è la dimostrazione lampante di questo teorema, dal momento che ha riempito la sua partita di finte inutili e improbabili tentativi di tunnel, accanto a un andare nel campo che è parso ancora troppo indisciplinato. Lo stesso Spalletti, al termine del match, ha conosciuto come i suoi abbiano cercato la soluzione egoistica per rispondere alla sfida lanciata da un Pordenone arrembante ed encomiabile. È una questione di testa o, meglio, di pancia: non la controlli, ma quando sei lì pensi che sei in dovere di strafare, e soltanto la maturità può davvero impedire che impulsi di questo genere rovinino una prestazione intera.
CON I PIEDI – Eppure, a calcio si gioca con i piedi: se uno è bravo, è bravo, e in genere vince su chi lo è meno. Lo sport in voga in queste ore ricorda il classico “Il re è nudo”: a questo gioco gioca chi smania per trovare la conferma di vecchie previsioni funeree, sepolte sin qui da una stagione superba. Il teorema sarebbe appunto la totale inadeguatezza delle riserve nerazzurre, che disterebbero anni luce dai titolari per quanto si è visto nei 120’ contro il Pordenone. Certo, Karamoh non è Perisic e l’imbarazzante mancanza di confidenza che Dalbert mostra col pallone inizia a preoccupare. Cancelo stesso, stiloso ed elegante quanto si vuole, è un giocatore ancora indefinibile, vista anche la dubbia collocazione tattica. Ma con il Pordenone non è caduto nessun velo sulla presunta mediocrità della panchina nerazzurra: la rocambolesca e –diciamolo ancora– brutta serata di ieri non è la deflagrazione tanto temuta da alcuni e tanto attesa da altri che dovrebbe rovinare la stagione nerazzurra. C’è chi viene dal Valencia ed era seguito da mezza Europa, chi ha giocato a diciott’anni un campionato intero in Ligue 1, chi lo ha fatto da protagonista in una squadra di vertice come il Nizza. Che costoro non siano da Inter, o almeno non tutti, è certamente possibile, a patto che si dia loro almeno una stagione di tempo per la verifica. Appare difficile da sostenere, però, l’ipotesi secondo la quale le seconde linee nerazzurre non possiedano mezzi tecnici e mentali sufficienti per prevalere su una compagine di C, mentre è senz’altro più prudente ricordare che fatti del genere sono ricorrenti nelle coppe nazionali in tutta europa, anzi ne costituiscono il sale. Quanto a ieri sera, l’entusiasmo altrui, unito alla confusa voglia di strafare dei nerazzurri che volevano approfittare della serata per mettersi in mostra, ha finito per complicare parecchio la faccenda, cosicché lo spartito non è cambiato neanche quando sono entrati i grandi, e abbiamo dovuto assistere a errori di misura e di calibro che Perisic e Icardi non conoscono neanche quando giochicchiano coi figli sulla spiaggia. La figura è stata brutta, la fortuna –stavolta sì– ha salvato l’Inter. Guai, però, a far crollare la fiducia: a Spalletti, e solo a lui, toccherà richiamare i suoi a una maggiore maturità, e siamo certi che il tecnico si farà sentire a dovere in merito. Trarre indicazioni tecniche da un evento irreale e raro come quello di ieri è mera approssimazione. Se proprio si vuol ritenere la sfida col Pordenone un banco di prova attendibile per i meno impiegati della rosa nerazzurra, occorre ricordare come, nel calcio e nella vita, non si conceda mai una sola opportunità. Attendiamo, dunque, con ottimismo la ripresa della marcia regolare e sicura cui l’Inter ci ha abituati quest’anno: certe figure, soprattutto quando tutto finisce bene, si rivelano spesso e volentieri salutari.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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