“Dedico questa vittoria a mio nipote, alla mia famiglia e a Giacinto Facchetti”: Javier Zanetti non è solo un grandissimo giocatore. E’ il simbolo di questa “vittoria morale”. Curioso come questa volta parlare di “vittoria morale” coincida con “vittoria sul campo”. Quella dedica a Facchetti, parole forti pronunciate con espressione assorta, ancora lì, a Torino, all’interno dello Juventus Stadium, suggella una serata indimenticabile. Facchetti oscenamente evocato ancora pochi giorni fa, l’Inter derisa dalla curva bianconera ancora ottusa nell’odio per una “diversità morale” ritenuta inammissibile. Facchetti che dà la sensazione di aver guidato, come uno spirito invisibile e immanente, il cuore e il cervello dei nostri eroi, protagonisti di una partita epica. Facchetti che sembra davvero rivivere in Zanetti, per stile, forza, onestà, equilibrio, saggezza. E’ questa l’Inter senza tempo, che ci fa mescolare ricordi e sangue. Quella che avvicina le generazioni e le unisce in una magica sera di novembre.
Una dedica senza pronunciare una sola parola di troppo nei confronti degli avversari, o dell’arbitro, o dei giornalisti, o dei tifosi avversari: Zanetti si è limitato ad esprimere la propria gioia e a rivendicare, questo sì, il ruolo suo e di qualche altro compagno, troppo presto giudicato “da rottamare” in nome di un rinnovamento anagrafico, che nel calcio non porta mai niente di buono e di solido. Questa squadra infatti è un mix quasi perfetto di età e di esperienze differenti. Stramaccioni lo aveva detto nella conferenza stampa della vigilia: “I nostri hanno vinto molto più dei bianconeri. Che paura vuoi che abbiano…”. Niente paura, infatti. Solo nervi saldi, mai così saldi. Solo gioco del calcio, crescendo in stile e qualità minuto dopo minuto, fino a quel secondo tempo da antologia, che rivedremo chissà quante volte. Anche io non voglio parlare degli errori arbitrali. Sappiamo già tutto. Abbiamo visto ogni dettaglio, compreso perfino le sfumature dei centimetri.
Se fossimo stati capaci di bloccare meglio anche Marchisio, nella prima metà del primo tempo, potremmo ora parlare di partita perfetta. E invece sono sicuro che Strama cercherà adesso di migliorare ancora quei meccanismi che legano strettamente la fase difensiva alla conquista del centrocampo, in quei venti metri appena davanti all’area di rigore che fanno spesso la differenza, e costringono poi Handanovic a dimostrare, ogni volta, di essere il migliore portiere in circolazione, non solo in Italia. Ieri sera, a proposito, il confronto con Gigi Buffon è stato impietoso, quasi crudele. Ma chi se ne importa. Noi siamo l’Inter.
E questo adesso è il punto vero. La concentrazione e il profilo basso. Rischiamo di entrare in una sorta di sindrome spagnola: due squadre al vertice, nettamente superiori alle altre, che si disputano il campionato ribattendo colpo su colpo, partita su partita. Non è così, la classifica attuale è una illusione ottica pericolosa. Noi dobbiamo rimanere tranquilli e modesti, più di prima se possibile. Battere l’Atalanta a Bergamo, tanto per cominciare, a me pare impresa tutt’altro che agevole. Anche perché arriveremo al match di domenica sera dopo aver disputato un’altra corrida a Belgrado, dove non ci attende una partita leggera, anzi. Scommetto che Stramaccioni utilizzerà l’Europa League per prove tecniche di qualche ulteriore innesto nel meccanismo che sta collaudando. Penso a Nagatomo, in funzione di incursore avanzato sulle fasce, con Palacio e Livaja davanti a tutti. Penso ad una possibile difesa a quattro, mancando forse Ranocchia, con Samuel e Silvestre centrali, Zanetti e Pereira ai lati. In mezzo Mudingayi con Cambiasso e Guarin. Ma io non sono un tecnico, e nemmeno mi appassionano le esegesi tattiche del giorno dopo. Mi diverto solo a provare a pensare con la testa di Stramaccioni, che nelle sue conferenze stampa tiene autentici corsi di calcio per tutti (forse troppo…) aiutandoci a comprendere non solo il perché, ma il come.
Siamo noi, adesso, a dover archiviare in fretta il trionfo di Torino. Perché non vorrei esagerare, ma ci sono forse squadre più forti di questa Juventus, esageratamente pompata dai media, e indubbiamente favorita, per così dire, da decisioni arbitrali a raffica, quasi in ogni partita: bisognerebbe, per i bianconeri, stilare una sorta di “classifica avulsa”, ma dagli arbitraggi. E sappiamo che questo meccanismo non finirà per incanto. Anzi. Ecco perché dobbiamo tenere il nostro passo, pronti ad affrontare anche qualche piccola delusione, quando verrà, senza ricominciare a mettere in discussione tutto, come troppo spesso in passato è accaduto, in un autolesionismo per certi aspetti incomprensibile, dato che veniva comunque da tifosi veri, appassionati, solo un po’ troppo tristi e cupi. Forse l’impresa di sabato sera potrebbe servire intanto a ricomporre la galassia del tifo nerazzurro. La “lezione morale” di Torino è solo una: uniti si vince. E c’è solo l’Inter. Una grande, grandissima Inter. Amala.
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