Nel corso dell’intervista rilasciata per il programma di Dazn ‘Linea Diletta’, Radja Nainggolan torna a parlare della decisione di tornare al Cagliari dopo l’annata all’Inter: “Cosa mi mancava? Ma non è la qualità della vita, in ogni posto dove sono stato sono sempre stato bene. Ogni luogo ha le sue qualità: a Cagliari sono cresciuto e sono diventato uomo, qui ho trovato uno stile di vita che mi ricordava il mio passato. La gente qui sorride con poco, a Roma sono molto più amichevoli e giocherelloni e questo mi piace perché voglio fare bene a tutti e per questo sono stato molto bene. Anche l’esperienza a Milano per me è stata abbastanza positiva, ho trovato una società importante, compagni eccezionali e un tifo che sognava cose importanti: vedere 50-60mila spettatori anche con Chievo e Frosinone vuol dire che aspettavano tanto. Ogni piazza mi ha lasciato qualcosa di importante”.
Dal punto di vista calcistico, che differenza di pressione c’è tra Roma e Milano?
“A Roma, per fortuna, ho vissuto solo momenti belli: abbiamo fatto il record di punti, siamo stati in semifinale Champions, sempre secondi o terzi in campionato. Certo, ci sono state partite perse 7-1 ma sono stati percorsi che i tifosi hanno capito. Alla fine abbiamo fatto sognare una piazza, poi la squadra è stata dimezzata e la cosa mi è rimasta qui”.
Come hai fatto a convincerti di tornare a Cagliari?
“Sono di parola. Ho parlato con Tommaso Giulini, lui mi diceva di volermi tra uno o due anni, e invece sono tornato subito. Poi i problemi personali, le notizie che si sanno… Bisogna essere uomini oltre che pensare alla propria carriera”.
Ma è vero che se non ti avessero dato la 4 non saresti venuto?
“Certo, me la dovevano liberare a prescindere. Non sono mai stato scaramantico finché non sono arrivato qui con il presidente Massimo Cellino che non voleva scarpe viola o il numero 17. Ma sui capelli non mi ha mai detto niente, poi le scarpe viola le ho usate ma non mi ha mai rimproverato… Con lui avevo un bellissimo rapporto: è un grande intenditore di calcio e un uomo di parola. Gli devo tanto, qui da giovane avevo sbagliato non rispettando le regole all’interno di un gruppo. Una volta ci siamo svegliati tardi con un compagno e siamo stati messi fuori rosa. Dagli errori si impara”.
A Cagliari sei stato accolto da trionfatore.
“Io sono sempre stato rispettato. Quando uno fa bene verrà sempre rispettato”.
Dove posizioneresti il centrocampo del Cagliari tra quelli in cui hai giocato?
“Non si possono fare paragoni… A Roma ho giocato con De Rossi, Strootman e Pjanic, dei campioni. Finché sono stato a Cagliari ero ritenuto un buon giocatore, ma per essere forte devi dimostrarlo anche quando ti sposti, tanti giocatori non sono riusciti. Marko Rog per me può diventare forte, è abbastanza completo. Nahitan Nandez va sempre a mille, deve capire quando stare più tranquillo e fare le cose con più qualità”.
Sei diventato anche un fratello maggiore per questi ragazzi.
“I tempi sono cambiati. Se io facevo dieci anni fa la stessa carriera di oggi sarei stato al livello doppio rispetto ad oggi, ho fatto la gavetta. Esperienze che i ragazzini oggi non fanno più, voglio trasmettere questa esperienza a loro”.
Ti descrivono a volte come uno solitario.
"Io non sono mai stato solo. Dicevano che all'Inter ero uno spaccaspogliatoio, ma se chiedi chi sono agli altri dicono tutti che sono un grande. Io credo all'amicizia nel mondo dello sport, poi se uno fa qualcosa di sbagliato fuori dal campo non c'entra nulla col rapporto coi compagni. Purtroppo queste cose si dicono e tu ci convivi, è un'etichetta che non ti levi più".
C'è qualcosa in comune tra tutti i tuoi addii?
"Se vedi la mia carriera, ho giocato in poche squadre. Quando vivo bene non voglio andare via. Poi ci sono cose che a livello soprattutto umano diventano dei problemi. Io a Roma non volevo andare via, ma non perché non volevo andare all'Inter bensì perché ero talmente convinto del progetto, stavo talmente bene ed ero sicuro che in quella piazza si poteva vincere. Alla fine ci sono persone che ti fanno cambiare idea, non posso restare con uno che sta sopra di me e non gli dai il buongiorno la mattina".
Ti ritrovi nella definizione del Ninja come di un guerriero dalla disciplina rigidissima?
"Sì, ci sta. Sto cercando di mettermi delle regole, so dove sbaglio e dove no. Anche a 30 anni bisogna crescere. Poi qualche piccolo casino l'ho combinato, ma perché a me sembrava una cosa giusta ma per altri era sbagliata. Poi cerco di vivere una vita normale: vado alle sagre di paese qui, se qualcuno vuole parlare con me ci parlo".
A chi insegneresti le regole e la disciplina del paddle?
"A Nicolò Barella. Mi sarebbe piaciuto giocare con lui perché credo che diventerà davvero forte. Deve fare un po' di esperienza a livello internazionale ma è normale. Non ha una sola qualità, ne ha tante e tutte sopra la media. Migliorando può diventare un giocatore importante".
Cosa hai pensato quando hai visto esplodere Zaniolo alla Roma?
"Si vede che ha una prepotenza fisica importante per l'età che ha. Dopo 10 partite poi parlavano come se fosse un fenomeno, sono i tempi di oggi: se lo è o no è un altro discorso. Ma per un ragazzino la piazza di Roma può essere pesante, e infatti penso che nella seconda metà del campionato è stato sotto il suo livello. Poi diventerà sicuramente un grandissimo giocatore perché ha la personalità che non hanno tutti".
Qual è il fuoco che ti fa ancora andare in campo?
"A me piace giocare a calcio, giocherei solo le partite perché mi piace la sfida. Sono nato per quello, è la cosa più bella per me".
Sull'addio all'Inter.
"Beppe Marotta non è mai venuto a parlarmi. Mi han chiamato a fine giugno dicendomi che non rientravo più nel progetto. Io ho fatto il ritiro, mi sono allenato bene, ma non sono riuscito a far cambiare idea alla società perché avevano preso una decisione e Antonio Conte ha dato loro retta. Di lui ho visto subito le sue idee: era molto chiaro, diretto, quando le cose non gli andavano bene te lo diceva. Un giorno mi ha chiamato da parte e mi ha detto che lui era malato per me, però il club aveva preso una decisione che lui aveva condiviso e me lo ha detto dal primo giorno. Io apprezzo più l'uomo che mi dice le cose subito, quindi sono stato molto tranquillo. Ho detto a Conte che non c'era problema e che avremmo visto come sarebbe andata a finire, perché avevo voglia di dimostrare".
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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