Lunga intervista della Gazzetta dello Sport ad Andrea Ranocchia. Il capitano dell'Inter ha parlato a 360 gradi sia del momento della squadra che a livello personale. Ecco alcuni passaggi della chiacchierata che si trova oggi in edicola.
Mancini che tipo è?
"Mancini ci crede da morire: a tutto ciò che si può pensare di buono per l’Inter futura, a tutti noi e alla Champions. Lo vedi quando ci parla: nelle riunioni, singolarmente, quando fa tattica e il resto, trasmette serenità e fiducia. E in più ha vinto: e questa cosa conta, pesa".
Più accessibile prendersi la Champions attraverso il terzo posto o la vittoria in Europa League?
"La via preferita potete immaginare qual è: alzare un trofeo sarebbe splendido. E credo che, rispetto al campionato, proprio questa sia la strada più accessibile. Poi, è chiaro: serve fortuna nei futuri sorteggi e che la squadra sia al meglio nei momenti delle sfide in campo".
Ma oggi come sta l’Inter? Anzi: dopo Roma e dentro la classifica di destra come se la passa?
"Bene. E sa perché? Per la mentalità che ci ha dato Mancini e che abbiamo portato in campo. Qualcuno ha detto: perché non accontentarsi del 2-2? Ecco: è qui che ci si sbaglia. Fai il due a due e vuoi vincere. Ce la giochiamo e basta. Negli ultimi due mesi entravamo in campo con tanta pressione e tensione. Era una “guerra” continua: titoli, titoloni, critiche. C’era bisogno di maggior serenità".
Mazzarri era sicuro di potercela fare.
"Non voglio dare colpe all’allenatore, non sarebbe corretto: parlo di responsabilità, sue ma anche nostre. Mazzarri era molto tartassato: la tensione c’era e ce l’avevamo tutti. Troppa. Forse lui doveva gestire meglio tutta questa pressione, ma anche noi. Solo che dentro alla nostra squadra ci sono anche ragazzi di 21 e 22 anni, che fra qualche anno saranno top player europei ma pur sempre 21-22 anni hanno... E se appena sbagli un pallone senti borbottare, ecco, non è esattamente facile. I fischi di San Siro? Noi abbiamo fatto mancare ai tifosi i risultati, ma è anche vero che se qualcuno poteva darci una mano, beh, non è successo".
E che lei poteva far squadra coi marziani di Guardiola...
"E’ vero, ci fu un sondaggio (del Bayern Monaco, ndr): e per un po’, ammetto, ci pensai. Ma avevo fatto e preso la mia scelta: l’Inter".
Stramaccioni e Stankovic: i ritorni a San Siro.
"Due amici. Strama è un talentuoso: non ha ancora tanta esperienza ma forse è ancora più bravo perché non è stato calciatore e quindi non ha avuto il vantaggio di diventare esperto sul campo. Con Deki ho un rapporto spettacolare, ci sentiamo spesso: mi ha dato una mano enorme in momenti molto bui".
Tipo (da lontano) in quei giorni in cui poteva andare al Galatasaray? Da Mancini, fra l’altro.
"Sa cosa ho detto al mister quando ci siamo visti? Meglio qui a Milano eh..." (ride).
E quale potrebbe essere, fra i centrali passati, un giocatore di riferimento?
"Walter Samuel. E in assoluto Giacinto Facchetti. E sa perché? Perché credo nel poter dare messaggi positivi, perché bisogna avere più figure che stanno dentro un calcio capace di mostrare un’etica, perché esiste e deve esistere un modo di comportarsi sano. Il rispetto dell’avversario, dell’arbitro, del compagno che magari ti para il culo in campo. Qualcuno ha detto che dovrei fare delle sfuriate proprio lì, in campo: ma non si rendono conto che tutto è cambiato, che hai mille telecamere? E, soprattutto, pensano che fare il duro con un compagno davanti a tutti ti dia l’etichetta di grande giocatore? Vede: se io ho qualcosa da dire a Juan Jesus, per esempio, aspetto la fine della partita, lo prendo da una parte e gli spiego come avrei fatto. E non glielo direi mai in faccia a tutti, allo stadio e alle telecamere. No. Essere una bella persona è la cosa prioritaria: così mi hanno insegnato i miei genitori e così insegnerò a chi vorrà ascoltarmi".
Tanti allenatori hanno detto: siamo l’Inter e dobbiamo fare l’Inter. Negli ultimi anni, perdoni la ripetizione, l’Inter vera non s’è vista.
"Perché è mancata la mentalità vincente, quella che sta inculcando Mancini. In dieci giorni non si possono vedere già i grandi cambiamenti, ma fiducia, mentalità, serenità e lavoro sono punti-base dai quali stiamo ripartendo. E poi, ripeto: le squadre devono tornare ad avere paura di venire a San Siro. E’ fondamentale".
Ed è fondamentale che Palacio torni Palacio...
"Ne verrà fuori, sono sicuro. Come sta? Lui dice bene, ma non aspetta altro che fare gol. In queste situazioni si tende a dire che va sempre tutto bene, ma ricordo un mio episodio: feci un assist a... Di Vaio, dicevo di stare bene ma per due settimane non ho dormito. Insomma: prima o poi a Rodrigo passa, i suoi gol arriveranno e saranno importanti come sempre".
E quando tornerà Thohir cosa vorrebbe potergli dire?
"Mi auguro che torni presto. Ricordo che poco prima del match contro l’Atalanta mi prese da parte e mi disse: “Capitano, prendi in mano la squadra e vinciamo questa partita”. Vinta, 2-0. Altri replay così non mi dispiacerebbero...".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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