Da fenomeno massmediatico qual è Josè da Setubàl ha subito messo le mani avanti: “Il Barcellona è un prodotto finito, il Real Madrid è un progetto in costruzione”. Nulla di più vero, lo diceva anche di questi tempi un anno fa quando la critica puntava un po’ troppo ingenerosamente il dito sull’Inter, forse con l’intento di colpire più lui o stimolarlo a concedere i suoi classici show personali davanti alle telecamere. Ma di classico, o meglio di Clasico, al Camp Nou per le merengues c’è stata solo l’ennesima batosta, stavolta assai più fragorosa considerando ambizioni e qualità della Casa Blanca. Un autentico naufragio, storico per Mourinho, che nella sua carriera la ‘scoppola’ più dolorosa rimediata è datata 2006, uno 0-3 in casa del Moddlesbrough quando lo Special era alla guida del Chelsea. Bis anche sulla panchina dell’Inter, nel 2008, semifinale d’andata di Tim Cup che i nerazzurri hanno disputato con le seconde linee. Identico punteggio che Mourinho, nel post-partita, girò egregiamente a suo favore replicando ai giornalisti che lo accusavano di poco turn over: “Vedete perché faccio giocare sempre gli stessi?”. Dopo ieri, c’è davvero poco da giustificare e Mou ha gustato l’amaro sapore della sconfitta anche sulla panchina del Real Madrid, la prima in 20 gare ufficiali.
NIENTE PIU’ ‘CAMP MOU’ - Se il Camp Nou, e di conseguenza il Barcellona, fosse il metro di giudizio, tra la precedente Inter e l’attuale Madrid non ci sarebbero neanche discussioni. La squadra costruita da Mourinho la scorsa stagione dista anni luce dal gruppo di Galattici che il portoghese ha messo insieme per continuare a trionfare in Spagna. Per lui la Catalogna è da sempre portatrice di delusioni: 6 partite, 4 sconfitte e 2 pareggi. Ma prima di quello di ieri, l’ultimo k.o. equivale a una vittoria: 0-1 nella semifinale di ritorno di Champions, quanto bastava a trascinare l’Inter in finale e a ribattezzare lo stadio ‘Camp Mou’. Merito dello Special, quel risultato, nato da una spettacolare interpretazione del match, che pur con ala squadra in 10 uomini già dal primo tempo è riuscita a tagliare i rifornimenti ai fenomeni in dotazione di Guardiola. Ieri, con un Villa in più e un Ibrahimovic in meno, i catalani hanno letteralmente asfaltato le merengues, denunciandone tutti i limiti ed evidenziando le lacune dell’impostazione tattica blanca, troppo offensiva nonostante la consapevolezza di avere di fronte un avversario che si esalta negli spazi. E il risultato lo testimonia. Neanche la variazione in corsa, marchio di fabbrica di Mou (Diarra per Oezil), ha cambiato il trend.
LUCIO-SAMUEL? NO, PEPE-CARVALHO - Scottato ancora dall’eliminazione in Champions in occasione dell’ultimo incontro-scontro, Guardiola ha letto alla grande la partita, avanzando Dani Alves in una posizione di ala più che di terzino e costringendo il collega ad abbassare Di Maria, rinunciando alla sua spinta a sinistra, fondamentale per rifornire Ronaldo e compagnia in attacco. Una mossa simile a quella vincente che ha portato Eto’o a fare il terzino proprio sull’esterno brasiliano nell’ultimo Barcellona-Inter, ma con due differenze da non sottovalutare: l’abnegazione del camerunese, inarrivabile per l’argentino; e la necessità di proteggere la difesa dopo l’espulsione di Thiago Motta. Mourinho lo ha detto sin dall’inizio della sua esperienza madridista: per caratteristiche, impostazione e storia, non avrebbe potuto replicare lo stesso modulo mostrato a Milano. Difficile chiedere a un galattico di sacrificarsi in difesa, difficile convincere l’esigente pubblico del Bernabeu ad accettare una squadra che lascia giocare l’avversario e poi lo demolisce ripartendo in velocità. La mentalità è diversa. Ma attaccando, pur ottenendo 15 successi nelle precedenti partite (contro avversari la cui consistenza, va detto, andrebbe verificata), certe partite non sempre si portano a casa. Lo insegna la corrida del Camp Nou, sfociata in una deprecabile rissa da bar con Sergio Ramos sugli scudi; ma lo ricorda anche il 2-2 acciuffato nel recupero a San Siro contro un Milan ancora lontano dai livelli attuali. Contro avversari che sanno ripartire in velocità, come faceva egregiamente la sua Inter, la vita per il Real Madrid diventa difficile. Inoltre, pur avendo una miniera di talento dal centrocampo in su, il portoghese ha nella coppia centrale connazionale Pepe-Carvalho un anello debole: Lucio e Samuel erano tutt’altra cosa, in altre parole.
MEMORIE NERAZZURRE - “Spero di tornare al Camp Nou un’altra volta questa stagione, perché vuol dire che ci giocheremo una coppa e magari finiremo festeggiando come con l’Inter”. Già, c’è sempre la squadra nerazzurra nelle parole di Mourinho, anche a distanza di mesi e di chilometri rispetto all’esperienza biennale a Milano. Un cordone ombelicale, almeno idealmente, mai tagliato, che probabilmente, nel suo intimo, il portoghese ricorda con piacere ma anche un pizzico di malinconia. Era alla guida di un gruppo unico, che per lui avrebbe fatto di tutto e che con llui ha raggiunto i traguardi più elevati. Forse quella Inter, tecnicamente, era inferiore al Real Madrid che Perez gli ha messo a disposizione. Ma la testa, il carattere e la volontà che i nerazzurri hanno mostrato di possedere è un miraggio al momento nella capitale spagnola. Nulla di male, lo l’Especial ci sta lavorando, anche se i cinque schiaffi rimediati contro l’eterna rivale rappresentano un ideale knock out alle ambizioni e alla fiducia delle merengues, travolti all’esame di maturità. Lo psicologo Mou, dopo essersi esibito davanti a taccuini e telecamere, dovrà ricostruire il morale di un gruppo che improvvisamente si sente meno galattico di quanto gli era stato fatto credere. Perché le medaglie si conquistano sul terreno di gioco, non sui giornali o contro sparring partner bravi solo a incrementare la propria autostima…
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