José Mourinho è tornato a parlare in Italia e lo ha fatto al Corriere della Sera. Intervista bellissima, in cui racconta di sé, delle sue conferenze e dell'amore per l'Inter. "Un giorno tornerò", dice. Ma non adesso.
José Mourinho, come prosegue la sua avventura al Real Madrid?
Sto benissimo, siamo in vetta al campionato ed abbiamo ottime possibilità di arrivare in semifinale di Champions
Eppure continuano a piovere critiche.
Ci sono abituato, anche perché arrivano in ogni caso: se dico bianco o se dico nero, se parlo o se non parlo. Sinceramente ci ho fatto l'abitudine, ma alcune volte non credo di essere rispettato.
Da chi ottiene rispetto?
Dai miei giocatori e sicuramente dalla mia famiglia.
Come fa un allenatore a ottenere il rispetto dei propri giocatori?
I giocatori sono persone intelligenti che studiano e che hanno accesso a tutto. Riescono a capire se sei un allenatore onesto, preparato, oppure no. E poi credo che il miglior modo per ottenere rispetto è rispettare, e io rispetto i calciatori più di qualunque altra cosa nel calcio.
Si ritiene fortunato per aver ottenuto successi in Paesi diversi?
Molto, ho lavorato con persone straordinarie. Quando arrivi in una squadra cerchi sempre di ottenere il massimo dalle persone con cui lavori. Anche quando si acquista un giocatore, lo conoscerai solo quando ci lavori insieme.
E nelle squadre che hai allenato, com'erano le persone?
Uniche. Al Chelsea con metà squadra composta da africani, si è creato un grande gruppo con gli altri giocatori. Mentre all'Inter, c'erano sette-otto argentini che avevano formato una famiglia formidabile. Mai sentito un gruppo così compatto. Mi mancano tanto.
Qual è il segreto per rendere un gruppo vincente?
Innanzitutto, parlare la loro lingua. Quando sei in privato, comunicare nel loro linguaggio ti permette di costruire una relazione diversa.
Ci parli un po' di lei. Crede di essere un vincente?
Sì, sono un vincente. La cosa che mi rende speciale rispetto ad altri allenatori è che nessuno negli ultimi dieci anni ha vinto tanti titoli quanto me. Essere speciali nel calcio vuol dire essere vincenti. E' impossibile vincere sempre, ma farlo regolarmente ti fa entrare nella storia. Io sono stato competitivo fin da bambino, per me qualsiasi cosa andava vinta, anche quella più semplice.
E vogliamo parlare del 'rumore dei nemici'? Lei ne ha bisogno per dare il massimo?
Lo preferisco, quando stai andando bene tendi a rilassarti, ma quando senti quel rumore sai che qualcuno sta cercando di approfittare di un tuo momento no. Ricordo bene quella frase. Quando dico nemico però mi riferisco al calcio, il nostro corpo ha bisogno di adrenalina.
'Zero tituli': un'uscita programmata?
Pianifico sempre le mie conferenze stampa. So esattamente quello che devo dire e quando devo parlare, così come so cosa fare quando c'è una partita e quando si fa allenamento. Con quella frase volevo mettere un po' di pressione sugli altri, facendo capire che chi rischiava di non vincere nulla erano loro. Un po' di giorni dopo mi sono reso conto di aver creato un tormentone. Il giorno dopo quella conferenza, ad Appiano Gentile era pieno di gente che vendeva t-shirt, appena mi videro mi corsero incontro e mi lanciarono queste maglie, con la foto delle manette, con la scritta 'zero tituli' e mi dissero che ne stavano vendendo tantissime. Ed io risposi: mi fa piacere.
Non molto tempo fa, ha detto che un giorno tornerà all'Inter.
Confermo, sono il primo tifoso dell'Inter e ci tornerò sicuramente. Il mio futuro per ora è a Madrid, ho altri due anni di contratto. Ma chissà.
José Mourinho, ancora un leader di questo Real Madrid?
Assolutamente: mentre lavoro, so che sono io a dover comandare e le persone lo sanno. In vacanza, mi manca un po' questa sensazione.
E il look? Quanto ha influito sulla sua fama?
Zero. Si vince grazie alla capacità di comunicare non grazie a un taglio di capelli o per una giacca. Il mio cappotto è esposto nel museo del Chelsea, perché una volta un signore acquistò in un'asta di beneficenza un mio cappotto Armani, pagandolo abbastanza. Solo che una volta portato a casa, ha capito che quel cappotto apparteneva al Chelsea, come le scarpe di Drogba e Lampard. Il mio non è un look costruito, non mi interessa apparire in un certo modo davanti agli altri.
Qual è il suo rapporto con i giocatori? Si trova mai a discutere?
Certo. La discussione che ricordo di più fu con Ibrahimovic: durò 5 minuti, lui voleva andare al Barça e vincere la Champions, e io ero arrabbiato con lui perché ero sicuro di vincerla con l'Inter. Mi è spiaciuto molto per lui, è un ragazzo fantastico che vive per la famiglia. E' un vincente nel calcio. Nessuno deve dimenticare che ha vinto 9 campionati di fila e che ha tutto il tempo di vincere la Champions.
Figli e calciatori, con chi si sente più responsabile?
Con i miei figli, senz'altro. Anche se con loro forse è pià facile. E' la mamma ad educarli, io non sto molto con loro ma quando sono a casa cerco di godermeli più che posso.
Con che faccia si mostra davanti al mondo? Che differenza c'è tra il Mourinho nel calcio e quello nella vita reale?
Sono uno che svolge al meglio il proprio lavoro. Competitivo, un uomo di calcio. Il mio vero io, lo condivido solo con i miei amici e con la mia famiglia. E poi per conoscere il calcio non basta essere un buon allenatore. Sono tanti i fattori che fanno la differenza. Sui giocatori, credo sia fondamentale per loro avere una base di cultura generale, oggi sono molto diversi da una trentina di anni fa.
Qual è il segreto per raggiungere il successo?
Il talento non basta, la vita dei giocatori è limitata in 10 anni e in quegli anni devi cercare di ottenere il massimo. Ho visto tanti giocatori sprecare il loro talento.
Prossimi obiettivi?
Vincere la Champions con tre squadre differenti ed essere l'unico uomo ad aver vinto i tre campionati più difficili al mondo: Italia, Spagna e Inghilterra. E nella vita voglio soltanto stare in salute con le persone che amo. Appena mi ritirerò, vorrò essere un uomo che ha fatto al meglio il proprio lavoro.
Mario Garau - Alessandro Cavasinni
Autore: Alessandro Cavasinni
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