All'indomani dalla lunga e turbolenta cessione dello stadio Meazza e delle aree limitrofe, l'Inter torna a San Siro in versione Europa. Dopo quasi cinque mesi, dagli altoparlanti della Scala del calcio è tornato a suonare l'inno della Champions. La prima in casa di Cristian Chivu da allenatore su quel grande palco che da calciatore ha conosciuto bene e meravigliosamente. La prima in casa e non una casa qualunque, ma la sua. Quella che tante volte ha visto straripare piena, rumorosa, colorata e sgorgante e che ieri sera, come unica nota stonata della bella prima volta di mister Chivu, era tutto fuorché straripante, sgorgante, sold out e persino rumorosa. Chissà quali pensieri avrà avuto nel preciso attimo in cui i suoi giocatori entravano in campo e i sessanta mila e rotti sugli spalti intonavano la composizione di Britten. Ma in tal senso era stato chiaro già prima del Torino alla prima di campionato, sempre a San Siro: "L'emozione c'è, ma la cosa più importante non sono io, ma questi giocatori che sono fondamentali". Il ragazzo nato nell'80 e arrivato all'Inter nel 2007 dalla Roma, oggi ha dismesso scarpette e caschetto e veste un completo elegante, scarpa immancabilmente sportiva, e da bordo campo punta sguardo e pensieri sui suoi giocatori in campo e in panchina. Eccoli i suoi pensieri: tutti lì, ordinati, decisi, dritti. E come i pensieri,anche i giocatori scendono in campo con ordine, decisione, voglia e disciplina, assediano lo Slavia Praga e si prendono una seconda vittoria in scioltezza che porta fieno in cascina per la lunga cavalcata, con le varie complicazioni d'inverno.
Due partite giocate, sei punti, cinque gol fatti e zero subiti ma soprattutto una partita semplice sì ma anche giocata con convinzione, atteggiamento propositivo, attenzione e tanti buoni spunti che lo stesso allenatore commenta in conferenza post match a partire dalle scelte di formazione. Bisseck e Zielinski dal primo minuto come grandi novità di formazione, 'premio' che lo stesso Chivu avrebbe voluto dare anche a Frattesi, rimasto però in panchina per un problemino allo stomaco che si portava da Cagliari. Sucic anziché Mkhitaryan, tornato in panchina dopo la titolarità all'Unipol Domus, panchina dove si è accomodato anche Barella insieme a Carlos Augusto rimasto a sedere per 93 minuti lasciando posto a Dimarco, tornato titolare e con tanto di benedizione alle parole della vigilia uscito al triplice fischio. Sulla corsia di destra, speculare a Dimash, torna Dumfries che al 34esimo mette la firma su un'invenzione di Acerbi. È sempre lui, l'uomo che non si arrende mai, e di cui probabilmente si sottovaluta la visionaria inventiva, a innescare il secondo gol in stagione dell'olandese: trenta metri di palla al piede dopo uno scippo del pallone all'avversario, lancia Marcus Thuram in corsa che si prende il fondo e mette in mezzo per Denzel. Se Sucic e Zielinski non brillano, con qualche alibi del caso, pur risultando funzionali alle necessità della squadra, a brillare sono i soliti due lì davanti: quella magica coppia che è la ThuLa. Complementari al punto giusto, riescono sempre a trovare il modo d'incastrarsi e svincolarsi dalla morsa della schiera bianca dello Slavia. Uno serve l'altro segna, uno mette energia l'altro forza, e se Lautaro è serietà e martellamento da capitano in campo e fuori, Thuram è divertimento, brio, qualità e se nel secondo gol di Dumfries è autore dell'assist, nel terzo consegna lui con un tacco geniale il pallone a Bastoni che porta alla terza rete del Toro.
A proposito di gol quindi di Lautaro, l'attaccante ieri ha firmato il tabellino con due reti che hanno aperto e chiuso la partita. Il primo arriva inaspettato per la sua semplicità: il portiere Stanek sbaglia nel tentativo di costruzione e si lascia carpire palla dal Toro che con in testa i principi dell'Inter di Chivu, - di pressare l'avversario e rubare palla - e le gambe, l'intelligenza, l'astuzia, la velocità e la voglia di arrivare su quel pallone - tipici dell'argentino in questione - sblocca il risultato. E manda 1-0 un risultato che chiude al 65esimo con un'altra corsa in avanti fino a farsi trovare pronto mentre il Tikus e Bastoni confezionavano il regalo, consegnato a domicilio dritto in mezzo all'area piccola dove ancora come un treno, ancora a porta spalancata l'argentino fa 3-0 e sigla la quarta vittoria consecutiva e stagionale. Gol ancora 'facilotto' ma ancora importante che gli vale la seconda doppietta contro lo Slavia Praga dopo quella del 2019 all'Eden Aréna: il capitano firma 22esima e 23esima rete nella massima competizione continentale, arriva a 157 reti totali con la maglia nerazzurra e diventa il primo giocatore nella storia della Beneamata ad andare a segno in sette diverse edizioni di Champions League. Dopo il gol a Cagliari che gli è valso l'ingresso nella top 5 dei cannonieri nerazzurri in Serie A, ora è anche il primo a sbloccare un nuovo record che peraltro in Europa, di recente, hanno in pochi. Nella notte dei ritrovamenti, dei face to face col passato, più o meno recente, per Lautaro è una sorta di confronto con il suo trascorso: dalla doppietta di Praga alla doppietta di San Siro, dalla sua seconda edizione di Champions, alla sua piena maturità con esperienza fatta di dolori, lacrime, sacrifici, gioie, vittorie e titoli. E posti nella storia. Nessuno come lui che dal post-Icardi in poi ha vissuto trasformazioni, cambiamenti, snodi epocali di un'Inter che cambia e si evolve ancora, soprattutto ora.
Nel bel mezzo di un altro potenziale cambiamento epocale come quello di San Siro, dal lontano doppio confronto con lo Slavia Praga sotto la guida di Antonio Conte, là dove si svezzava un progetto che con Suning spiegava le vele, all'Inter-Slavia di ieri sera. Il preannunciato abbattimento dell'attuale San Siro in vista del nuovo incupiva la già romanticamente triste atmosfera che 'l'assenza' della Curva provoca anche in Chivu che nel giorno del suo battesimo in Europa ha avuto come unico dispiacere la tepidezza di un pubblico che, come ha già più volte detto, spera di riavere caldo e trainante come di sua conoscenza. Tutti contorni di un quadro di una prima d'Europa che non sembrava trasportare particolarmente, ma a rendere colore all'ultima notte di settembre è il risultato e ancor di più la prestazione dei vice-campioni d'Europa contro la squadra di Trpisovsky che serve all'ex tecnico del Parma la prima risposta che va oltre le spiegazioni ai microfoni. I concetti stanno diventando comprensibili anche all'esterno di Appiano Gentile e dopo mille e più volte in cui Chivu ha parlato di ventidue titolari, rotazioni, meritocrazia, il concetto è piuttosto chiaro: niente di più vietato dell'idea secondo la quale squadra che vince non si cambia. E al contrario, squadra che vince si fa ruotare, si modifica, si fa rifiatare, si cambia. Che cambiare è fantasia, imprevedibilità, propensione a cercare e disporre di più soluzioni senza necessariamente snaturarsi... anzi. Con la solita giusta miscela tra passato e nuovo presente, che mai come oggi negli ultimi tempi inizia a rassicurare, l'Inter va avanti, ingrana, trova scioltezza, torna a ridere e a guardare un futuro che forse non sembra così male.
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