Grinta, leadership e personalità. Tutto questo è Mauro Icardi, capocannoniere dell'Inter in Champions League, che nell'ultima sfida di coppa contro il Barcellona ha offerto la miglior prestazione della sua esperienza in nerazzurro sotto l'aspetto caratteriale. Una prova da vero capitano e da vero bomber, tra il desiderio di rivalsa nei confronti della stessa squadra che non l'ha considerato quando era un ragazzino e la voglia di rivelarsi protagonista, ancora una volta, sul piano realizzativo tra le fila della Beneamata.
L'andamento della sua gara ripercorre per certi versi il debutto in Champions contro il Tottenham dello scorso 18 settembre. Le telecamere lo inquadrano pochi istanti prima che scenda in campo: è carico. E sul terreno di gioco riversa tutto il proprio attaccamento alla maglia, correndo (forse anche un po' troppo a vuoto) nel tentativo di alzare il baricentro della squadra in modo da recuperare palla. Ma col Barcellona questo discorso diventa pressocché impossibile: troppa qualità nei piedi dei blaugrana, capaci di mandare in tilt e prendere sul tempo tutti i giocatori interisti, nessuno escluso.
È inutile per Icardi tenersi (come invece fa sempre) un pelo al di qua della linea di centrocampo, in maniera tale da restare in posizione regolare: il Barça tiene l'asse Piqué-Lenglet a difendere nella propria metà campo e si riversa comunque negli ultimi 50 metri per attaccare con otto suoi uomini. L'argentino è dunque costretto ad abbassarsi per aiutare i suoi compagni nella fase di non possesso, terribilmente stancante sia nell'aspetto fisico che mentale: la palla non la vedi mai, i tuoi avversari ti scherzano con continui tocchi di prima ed arrivare alla fase dell'arrendevolezza è un attimo, quasi inevitabile. Specialmente se, come molto spesso accade, finisci per sprecare tutte le tue energie inseguendo il pallone. In questa trappola è cascato - ad esempio - Radja Nainggolan, mai incisivo neanche nei contrasti e sostituito dopo un'opaca ora di gioco. Ma i capitani sono gli ultimi ad abbandonare la nave, ed ecco il momento della svolta.
Il Barcellona segna, a meno di dieci minuti dalla fine dell'incontro. Zero a uno a San Siro, con il verdetto finale che appare ormai - visto il leit-motiv dei primi 80' - praticamente già scritto. Ma Icardi non molla: in momenti come questo non serve chiamare a sé la squadra, basta un semplice sguardo. Ed il suo atteggiamento alla ripresa del gioco sembra quasi voler dire "tranquilli, ora ci penso io". E, come al solito, alla prima palla giocabile che gli capita sui piedi (che sia l'87' poco importa) lui non sbaglia.
È un momento cruciale della gara. L'Inter è sotto nel punteggio, l'atmosfera del Meazza è cambiata ma non ancora arrendevole e un pallone vagante nell'area di rigore riaccende gli entusiasmi dei 74 mila presenti. Sulla sfera si fionda il neo entrato Lautaro Martinez, che con una giocata da circo si smarca e serve un pallone invitante al centro dei sedici metri. La sovrapposizione di Vecino è prorompente e l'uruguagio arriva per primo all'impatto con il pallone.
In quel momento il tempo sembra fermarsi: seriamente su quella palla c'è proprio lui? L'uomo della Champions, quello della girata di testa contro la Lazio, dell'inzuccata sotto porta con il Tottenham. La prende Vecino, per la terza volta? Stavolta sembra proprio di no: la conclusione dell'ex viola viene sporcata, ma il pallone resta giocabile e anzi, l'occasione diventa anche più ghiotta. Il famoso slogan Perisic to Icardi è pronto a essere rispolverato, ma al contrario: mentre l'argentino si avventa sul pallone e lo difende subito con il corpo spalle alla porta, il croato è a pochi metri da lui pronto a ricevere la sponda. Ma Icardi non se ne accorge, ha già in mente cosa vuole fare.
Il pregio più grande del classe '93 è stato quello di sapersi girare. Lì è tutta una questione di tempi di gioco: con un solo tocco, il centravanti ha controllato la palla e si è leggermente staccato dell'avversario. Due vantaggi ottenuti con un solo tocco: giocata che ha reso celebre Pelè negli anni '60 e che ancora oggi riescono ad eseguire soltanto i grandi attaccanti. In quel momento, quando hai colto impreparata la difesa avversaria, ti manca davvero poco: con un trucco del mestiere, Icardi compie un altro tocco e - soprattutto - finta la conclusione. A quel punto, tutto diventa più semplice: i difensori sono colti fuori tempo, Ter Stegen è già disorientato e il resto dell'Inter non esiste. C'è soltanto quel numero 9 che conclude in botta sicura facendo passare il pallone tra le gambe del portiere. Ed è 1-1.
Hai segnato al Barcellona, davanti al tuo pubblico, raddrizzando una gara che si era messa davvero male. Ma il tuo pensiero non è rivolto neanche per un istante all'esultanza: corri subito dentro la porta per prenderti il pallone e riposizionarlo al centro del campo, facendo sì che il buon risultato del pareggio possa anche tramutarsi nell'impresa della vittoria. La storia recente nerazzurra lo insegna, si può fare. "Potevamo fare qualcosina in più, alla fine è arrivato il pari", riferirà poi nel post-partita. Parole da capitano, gol da vero nueve.
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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