Chiamatela Laukaku, Lukauro o come più vi aggrada. La combo Lautaro Martinez-Romelu Lukaku è quella che sta tenendo l'Inter aggrappata al vertice della classifica, nuovamente prima in attesa di Juventus-Genoa questa sera. E se Thiagone azzeccasse ancora i cambi, chissà. A Brescia non si è visto nulla della squadra di Antonio Conte, a parte l'assetto tattico rigoroso. Quell'undici aggressivo, verticale, dinamico che ha costruito l'attuale classifica ha lasciato posto a un gruppo stanco, in piena riserva, autore di due tempi in antitesi.

Nel primo i nerazzurri hanno controllato, accelerando raramente, forti anche del vantaggio fortunato di Martinez che sta vivendo un periodo da Re Mida. Sono stati 4 minuti di spallettiana memoria: giropalla costante, lento e prevedibile, senza la forza di attaccare la profondità e agevolato da un Brescia remissivo, proposto con un 3-5-2 speculare e fin troppo intimidito da Eugenio Corini. I dati raccolti nel primo tempo non lasciavano presagire alcun rischio per un'Inter in grado di controllare senza spremersi troppo, giocando anche sulle energie. Invece, sin dall'inizio della ripresa, i padroni di casa hanno cambiato marcia, acquisendo convinzione minuto dopo minuto e costringendo gli ospiti a rintanarsi negli ultimi 25 metri, in costante affanno. Quando Lukaku, letteralmente dal nulla, impossessato dallo spirito di Adriano inventa il 2-0 sembra una manna dal cielo per un'Inter in evidente difficoltà ma che, da qual momento in poi, può giovarsi di un doppio vantaggio rassicurante. 

Invece no, sarebbe troppo per una squadra che ultimamente ha la tendenza a farsi del male: Brozovic buca (ancora lui), Bisoli si infila in un pertugio e dà il la a una carambola impazzita che spinge il pallone dal ginocchio di Skriniar al fondo della rete. Succede così che una partita tendenzialmente in ghiaccio per una squadra in discreta salute diventa un Everest per oltre 20 minuti, quando nonostante le mischie e i palloni gettati orgogliosamente nel cuore dell'area presidiata da un attento Handanovic i nerazzurri riescono, col fiatone, ad arrivare al triplice fischio di Fabbri con un golletto di vantaggio che vale il momentaneo primo posto, nonché la quinta vittoria su altrettante partite in trasferta.

L'Inter è stanca, non lo scopriamo certo al Rigamonti. In questo momento i giocatori tirano a campare, provano a sfruttare al massimo ogni situazione favorevole e non hanno l'energia per andarsele a cercare con continuità. Ci sta, viaggiare a una velocità di crociera talmente elevata sin da agosto, con l'aggravante di 3-4 infortuni non da poco, inevitabilmente porta a pagare dazio. Per fortuna, a livello di risultati la mentalità è quella giusta, c'è la volontà di vincere a prescindere dal contesto, anche in condizioni di apnea come la ripresa. Si soffre, è inevitabile, manca la brillantezza e ci si deve affidare alla giocata del singolo quando fino a qualche settimana fa era il collettivo a costruire i successi. Nessun allarme rosso, fa parte del gioco: il calendario non aiuta, già sabato si torna in campo a Bologna e sarà ancora più dura che a Brescia. La speranza è recuperare almeno Stefano Sensi, la cui assenza è forse il prezzo più caro pagato finora a livello tecnico-tattico. Bisogna arrivare alla sosta ottenendo il massimo, stringendo i denti e accettando anche di rintanarsi nella propria metà campo contro avversari sulla carta inferiori ma più in salute. Perché se le gambe non girano come all'inizio, la testa non deve mai offuscarsi.

Menzione per i singoli: sponda bresciana, Balotelli ha provato a trascinare i suoi ma ancora una volta è rimasto vittima dei propri limiti caratteriali, che lo portano a ingaggiare una sfida personale contro tutti piuttosto che con i compagni. Bene il tanto atteso Tonali, che a giugno potrebbe percorrere i 100 km che separano la Leonessa da Milano, checché ne dica Marotta: il ragazzo ha personalità, tecnica e non disdegna il contatto fisico (chiedere a Gagliardini per conferma). Tra i nerazzurri, oltre al sempre più incisivo Lautaro (i suoi stop a seguire sono da manuale del calciatore, inutile negarlo) e all'imprescindibile Barella, non c'è molto di cui rallegrarsi. Non per serata banalmente storta, quanto piuttosto per le difficoltà del collettivo a tenere alto il livello agonistico. Guai però a estrarre il solito 'Crisi Inter', perché non esiste. Trattasi di banale momento di legittimo appannamento di chi, con poche soluzioni dalla panchina, è costretto a giocare ogni tre giorni senza mai potersi risparmiare.

E poi, definire in crisi una squadra attualmente prima in classifica è più ridicolo solo di continuare a criticare Lukaku specchiandosi nei numeri di Icardi a Parigi. Il belga in campionato ha segnato 7 gol in 9 partite e mezza di A, roba da bomber di razza che solo gli stolti e i prevenuti non vedono. E una rete come quella al Rigamonti, pregevole quanto preziosa e determinante, rivela che Big Rom non è solo un totem da piazzare dentro l'area per fare a sportellate. Quando gli verrà riconosciuto sarà sempre troppo tardi.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 30 ottobre 2019 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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