Che quella di venerdì non fosse serata, era scritto nelle stelle. Bisognava capirlo sin dai giorni della vigilia, contraddistinti da quel tornado di veleni, di accuse, di pretese, di silenzi, di audio mancanti, di malcelato ‘celodurismo’ e di presunzione di poter disporre a proprio piacimento di uno stadio nemmeno parlassimo di buttafuori ingaggiati per una festa privatissima in un locale di quelli super glamour. Settimana di piombo, nonostante le premesse di classifica fossero già ben chiare e difficilmente scalfibili e un ribaltone, specie per quanto avvenuto nel penultimo turno e in quegli infuocati minuti di recupero di San Siro come del Tardini di Parma, era praticamente impossibile come alla fine il campo ha logicamente decretato, consegnando lo Scudetto ad un Napoli arrivato sì in affanno al finale di stagione e che ha potuto, numeri e minuti alla mano, liberare la propria gioia solo al 51esimo dell’ultima sfida contro il Cagliari. Ma che alla fine, in una sorta di campionato ‘ciapanò’ che si è risolto con una delle quote per il titolo più basse della storia della Serie A, è stato premiato per aver sbagliato complessivamente di meno.

E un po' di amaro in bocca, in una serata già scritta, possono averlo lasciato anche le parole dal prato dello stadio Sinigaglia di Como del presidente Beppe Marotta, che interrogato sulle parole della vigilia del tecnico partenopeo a proposito della differenza di valori tra uno Scudetto da leggere come un premio alla continuità e una finale europea conquistata in un torneo più breve con l’aiuto magari di una generosa dose di buona sorte, ha finito quasi col dare la sponda al suo ex allenatore accennando in maniera tenue alle fatiche ulteriori causate dagli impegni europei aumentati in questa stagione. Forse non la risposta che il popolo interista si sarebbe atteso: magari avrebbe preferito ascoltare qualche battuta, fatta anche in modo ironico perché no, sul fatto che le parole del tecnico salentino avrebbero potuto essere dettate dal fatto che questa stagione è stata la sublimazione del concetto di un Conte straordinariamente efficace ed efficiente in ambito nazionale quanto quasi sempre lacunoso in ambito europeo (anche le parole di Aurelio De Laurentiis durante le celebrazioni per lo Scudetto suonano quasi come una pizzicata in tal senso), avendo visto non solo l’Inter andare due volte in finale Champions in tre anni ma anche e soprattutto il Tottenham, la squadra dove forse ha vissuto la sua peggiore esperienza da allenatore in termini di risultati ma soprattutto di rapporti societari, alzare al cielo l’Europa League.

O più semplicemente, si poteva sottolineare che comunque c’è l’orgoglio di essersi giocati fino in fondo la competizione nazionale insieme a quella europea, il cui prestigio è notoriamente più elevato (senza dimenticare che quando qualcuno sul lato interista provava anche solo ad abbozzare questo discorso quando si trattava dello Scudetto 2007 di Roberto Mancini allorché il Milan si apprestava a vincere ad Atene, facilmente finiva oggetto di tuoni, fulmini e saette da ogni dove). Oppure sarebbe stato più giusto affondare in maniera più incisiva la differenza di agende che inevitabilmente e visibilmente ha inciso su quello che è stato l’esito del campionato, tra infortuni a caterva e seconde linee che non sempre si sono rivelate all’altezza della situazione, lacune che ad un certo punto della stagione sono diventate pressoché letali. Insomma, qualcuno si sarebbe aspettato logicamente qualcosa di più, ma Marotta, navigato uomo di calcio qual è, ha probabilmente ponderato la situazione e preferito schivare ogni potenziale schermaglia a novanta minuti dal traguardo.

Alla fine, la sensazione dominante era quella di una serata utile il giusto, con un’Inter scesa in campo con una batteria di co-titolari che hanno fatto nella sostanza il loro dovere in una partita che è stata nel complesso una passerella per tutti. La voglia di credere nell’impresa c’era ma rimaneva soffocata dalla cruda realtà: si è visto nell’esultanza nemmeno troppo accalorata di Stefan de Vrij dopo la rete del vantaggio che ha regalato l’ultimo barlume di speranza spento dalla rovesciata di Scott McTominay, autentico ‘X-Factor’ della stagione; nella bella rete di Joaquin Correa la cui esperienza poco felice all’Inter arrivata al termine sarà contraddistinta, purtroppo per lui, dalle marcature arrivate nelle giornate dei bocconi amari da digerire. Infine, negli occhi lucidi di Lautaro Martinez che dalla panchina ha provato fino in fondo a caricare la squadra per poi rimuginare su un altro titolo andato via, per poi guidare il gruppo sotto il settore ospiti del Sinigaglia per ricevere l’incitamento della tifoseria in vista di quello che è l’appuntamento principe di tutta l’annata.

Cala il sipario su questo campionato estenuante ed irritante, e la tesi che sia stato l’Inter a regalarlo regge, che piaccia o no, fino a un certo punto; perché, pur con tutto il corollario delle occasioni perse anche in maniera banale durante l’arco delle 38 giornate, è impossibile non mettere sull’altro piatto della bilancia tutte quelle strane situazioni in cui, nel dubbio, l’Inter si è sempre vista rivolgere il pollice verso, il tutto con buona pace anche di Hansi Flick. Senza rispolverare eventuali ‘retropensieri’, non può non restare nella mente il legittimo dubbio che se alcune decisioni arbitrali fossero andate come regolamento o come protocollo VAR imporrebbero, allora probabilmente saremmo qui a parlare di ben altra storia. Ma anche qui, stride alquanto la decisione di fare l’unico gesto eclatante di protesta rifugiandosi nel silenzio stampa al termine della gara con la Lazio, mossa facilmente interpretabile come tardiva e poco utile alla causa, mentre si abbozzava quando forse era il momento giusto per alzare la voce; ma anche lì, facile immaginare che in tal caso sarebbero partiti prontamente, anche solo per partito preso, gli strali e le urla scandalizzate alla Marotta League, che specie dopo questa stagione rimane ancora da capire se sia una roba che si mangia…

Ma ora, come detto, la stessa va all’evento che vale tutto: fra sei giorni, tutto il mondo nerazzurro sarà con le palpitazioni a mille, la salivazione azzerata e le mani due spugne per l’appuntamento tanto atteso, quella sfida al Paris Saint-Germain che vale ormai più di qualunque altra cosa. Lo dice la storia, lo dice lo stesso nome di Champions League, lo dice soprattutto il contesto: quello per il quale ormai passa da questa sottilissima linea il giudizio sulla stagione dell’Inter in bilico tra delusione totale e gloria eterna, tra anno da ricordare o da gettare dritto in mezzo alle ortiche, tra un Simone Inzaghi allenatore top class europeo oppure tecnico che non riesce quasi mai a trovare il centesimo per mettere insieme l’euro, e che solo per questo, in nome del Sacro Graal del risultato a tutti i costi, va messo all’indice, criticato se non addirittura cacciato quanto prima. Come fosse acqua fresca il periodo storico di gioco e risultati che il tecnico di Piacenza ha regalato all’Inter e ai suoi tifosi, qualcosa che assai di rado era accaduto nella storia del club.

Detto che, fortunatamente, l’intenzione della proprietà è ben lontana dall’accontentare questa parte, va altresì aggiunto che anche per chi ha in mano il timone della barca, la serata di Monaco vale tutto. In primis relativamente alla volontà di dare ulteriore risalto a questo progetto Inter: perché va bene definire la stagione positiva per l’utile monstre che andrà a generare, ma a questo punto tutti aspetteranno Oaktree al varco, ricordando che tutto questo è arrivato con investimenti specie nell’ultima estate ridotti all’osso e parametri zero esaltati in estate ma che alla prova dei fatti sono andati ben sotto le aspettative, mentre altrove si parla di impresa con squadre costruite con investimenti a nove cifre. Giusto che ora i tifosi si aspettino che anche loro diano una mano concreta a tenere ancora in piedi questo spettacolo fantastico, anche perché così il valore alla vendita può risultare ancora più alto. 

Fatta la somma di tutto questo, insomma, c’è un nuovo spettro all’orizzonte: che quello che fino a poco tempo fa era un sogno diventi una strana, inattesa ossessione. E tale la renderà la pressione che inevitabilmente col passare dei giorni aumenterà per il peso che anche inconsciamente assumerà la sfida contro Achraf Hakimi e compagni. Mai come questa volta, il destino è nelle mani dell’Inter, perché anche qui, tra maledetta o magnifica ossessione, passa un filo sottilissimo…

Sezione: Editoriale / Data: Dom 25 maggio 2025 alle 00:00
Autore: Christian Liotta
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